Cambiamento climatico, il professor Peruzzi: "Mille miliardi di alberi è aria fritta, serve conservare il verde esistente"

lorenzo peruzzi
Lorenzo Peruzzi

Piantare mille miliardi di alberi per ridurre la concentrazione di CO2 nell'atmosfera può essere la soluzione definitiva, secondo quanto propone il neurobiologo vegetale e divulgatore Stefano Mancuso? C'è chi non la pensa così, e ha i titoli per dire il contrario.

Lorenzo Peruzzi è professore ordinario di Botanica Sistematica all'Università di Pisa, dirige l'Orto Botanico universitario e fino a poco tempo fa è stato presidente del corso di studi di Scienze naturali ambientali. Il suo intervento durante l'incontro organizzato dal Pd Empoli al circolo di Pozzale ha suscitato notevole curiosità, soprattutto perché si frappone a uno dei più noti studiosi.

Perché la tesi di Mancuso non la convince?

Quando sento parlare di mille miliardi di alberi da piantare 'mi viene male', ritengo sia aria fritta. Piantare alberi ha un senso soprattutto in città: per raffrescare localmente la temperatura in una piazza o in un viale è importante, ma non così fondamentale come contributo alla crisi climatica. Il punto primario del piantare alberi è che si tratta di una soluzione di comodo per metterci la coscienza a posto e che ha un indotto economico. È bello accoccolarsi nell'idea che sia sufficiente finanziare queste iniziative per risolvere il problema. La stima di Mancuso non tiene conto del fattore tempo (quanto tempo serve alle giovani piante, ammettendo che sopravvivano, per diventare alberi?). L'altro problema è lo spazio: mille miliardi di alberi, anche se non avessimo problemi di tempo, dove potremmo piantarli? Quanti ne posso mettere in un ettaro? Non volendo piantarli uno accanto all’altro impedendone la corretta crescita, potrei pensare di piantarne un centinaio scarso per ettaro. Se si fanno due conti, avremmo bisogno di oltre 100 milioni di km quadrati, quasi il 70% delle terre emerse!

Quale alternativa abbiamo?

Nel mio intervento a Empoli ho citato l'Half Earth Project. Secondo il biologo Edward Osborne Wilson, servirebbe lasciare intatta metà del nostro pianeta per contrastare l'estinzione della specie e assicurare una vita più lunga al nostro pianeta e a noi stessi. Probabilmente non riusciremo mai ad avere il 50% di pianeta non toccato dall'uomo, ma almeno al 30% di aree protette (ed entro il 2030) dovremmo arrivare, anche stando a quanto deciso lo scorso dicembre a Montréal durante la XV Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità e accolto dall’Unione Europea, dall’Italia e anche dalla Regione Toscana. Se investiamo nel conservare una quota significativa del pianeta, poiché gli ecosistemi terrestri sono per la stragrande maggioranza costituiti da piante, otterremmo lo stesso risultato dei fantomatici “mille miliardi di alberi”. Conservare le foreste, ma anche gli ambienti prativi che sono altrettanto importanti, è importantissimo per stoccare il carbonio e limitare l’effetto serra, motore principale dei cambiamenti climatici che stiamo sperimentando.

Lei ha anche un'opinione particolare sulla biodiversità...

La biodiversità è l’insieme della varietà di tutte le specie di animali, piante, funghi ecc. Quando se ne parla, però, si fa spesso riferimento ad altro, come i frutti antichi, le razze di animali da allevamento etc. Questa però  è agrobiodiversità, a nostro stretto uso e consumo e di interesse certamente culturale, ma non biologico. La “vera” biodiversità viene spesso ignorata o non incontra interesse.

Quindi la biodiversità per come la intende lei esisterà sempre?

Certo, anche se dovessero estinguersi metà specie viventi (magari noi inclusi!), non è che la vita sulla Terra finirebbe. Quando si parla di crisi climatica, però, si parla davvero di biodiversità effettivamente a rischio, perché numerose specie selvatiche di piante e animali si sono già estinte nell’ultimo secolo e ce ne sono molte altre di cui sappiamo che da qui a qualche decina di anni si estingueranno. La conservazione della biodiversità è una nostra precisa responsabilità. Biodiversità è un bosco già esistente da anni e anni, non un parco dove hai “piantumato” alberi.

Torniamo allora a parlare delle soluzioni per affrontare il cambiamento climatico. Il piantare gli alberi secondo lei ha senso nelle aree urbane

A prescindere da quello che si sta facendo, se si parla di piantare alberi, bisogna investire in città, lì hanno utilità. Ma bisogna stare attenti a quali alberi. Dovremmo optare per piante autoctone di provenienza locale, più inserisci specie esotiche, più rischi di potenzialmente fare danni con invasioni biologiche. Abbiamo piante già adattate ai climi caldo-aridi che stiamo sperimentando, come le specie mediterranee. Perché non usare quelle? Un aspetto che mi turba è la cosiddetta forestazione urbana, che se ben fatta non implica semplicemente piantare alberi, ma cercare di ricreare ex novo dei veri e propri boschi (e relativi ecosistemi) vicino alle città. Ci vuole molta attenzione e molti spazi. Ma dove li reperiamo?

Quindi serve mantenere il verde dov'è, anche se in un'area troviamo delle erbacce, queste vanno tenute?

Già non sono d'accordo nel parlare di 'erbacce', vuol dire considerare certe piante come rompiscatole e non organismi degni di vita. Immaginiamo di avere un’area abbandonata dove, con dinamiche spontanee, si è formata una boscaglia, magari non bellissima alla vista, ma già funzionale dal punto di vista dei servizi ecosistemici. A mio avviso non avrebbe alcun senso radere al suolo tutto e ricominciare tutto daccapo per piantarci alberi, magari esotici, nell’ottica di contrastare (fra quanti anni?) il cambiamento climatico. Anche la gestione della vegetazione erbacea in città potrebbe essere molto più attenta alla biodiversità. I prati di solito sono percepiti come “brutti” e “non curati” se l’erba non viene rasata di continuo, Ma “l’erba” sono decine di specie spontanee della nostra flora, che se lasciate in pace fiorirebbero e fruttificherebbero e potrebbero ospitare una elevata biodiversità, anche a livello di insetti o piccoli animali. Perché, non dico in parchi e giardini, ma almeno in aree come rotonde o alvei fluviali, non limitiamo al minimo gli sfalci, magari solo a fine stagione estiva? In questo modo consentiremmo a questi ecosistemi, preziosi in ambienti di per sé poco naturali come le città, di svilupparsi senza problemi.

Su Empoli che valore dà alle politiche attive in corso per contrastare il cambiamento climatico e l'innalzamento delle temperature?

Non conosco così a fondo queste misure. Quello che mi sento di dire è che ci sarebbe da diminuire, anche se è difficile, il consumo del suolo. A Empoli siamo al 18%, un valore già molto elevato; accrescerlo ulteriormente sarebbe un bel problema. Poi basta guardarsi intorno: ci sono bei boschi vicino alla città e aree interessanti lungo i corsi d'acqua come l'Orme e l'Elsa o in prossimità dell’Arno. Se le aree verdi le lasci stare, le piante (anche arboree) ci pensano da sole a svilupparsi e colonizzare nuovi ambienti. Non c'è bisogno di un ulteriore sforzo per “piantumare” e manutenere. Dovremmo, invece, favorire la conservazione della vegetazione spontanea già esistente e possibilmente consentirne l'espansione naturale.

Elia Billero



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