Igor Protti e il ritorno a Livorno: "Tenetevi 680 milioni" (2 di 3)

Igor Protti oggi e nel 1995

Nel maggio 2005, cioè 20 anni fa, diceva addio al calcio Igor Protti. In questa seconda parte dell'intervista le esperienze a Bari, Lazio, Napoli, il ritorno a Livorno e la promozione in Serie B


Ecco la seconda parte della lunga intervista a Protti, pubblicata in occasione del ventennale del suo addio al calcio. (qui invece trovate la prima parte).

In questa parte troviamo i racconti delle esperienze fatte a Bari, Lazio, Napoli e il ritorno a Livorno, fino alla storica promozione in B. Nella terza e ultima parte si parlerà invece dell'arrivo in A.

Un'altra cosa, un passo in avanti al 1996, quando sei capocannoniere, l'unico capocannoniere che purtroppo ha visto la sua squadra retrocedere, ma quando andasti alla Lazio eri vicino anche all'Inter, è vero?

“Io avevo praticamente già firmato con l'Inter un accordo, insieme al mio procuratore, ma con una clausola reciproca che era quella che questo contratto sarebbe stato depositato solo dopo la cessione di un attaccante dell'Inter del tempo. Questa cessione non avvenne per vari motivi (l’attaccante in questione era Zamorano, ndr) e quindi decidemmo di soprassedere e firmai per la Lazio"

Clicca qui sotto per guardare la seconda parte dell'intervista video

Come andò quell'anno alla Lazio?

"È stato un anno a doppia faccia. All'inizio molto molto difficile, molto complicato, girone d'andata difficilissimo sia per me che per la squadra. Eravamo una squadra che era partita con le ambizioni di lottare per vincere il campionato, perché comunque c'era Beppe Signori, che nei 4 anni era stato capocannoniere per tre stagioni e il centravanti del nazionale, Gigi Casiraghi. Ero arrivato io, che comunque l'anno prima ero stato ero stato capocannoniere in Serie A, era arrivato Pavel Nedvev, c'erano giocatori come Nesta, Marchegiani, Favalli, Fuser, cioè una squadra decisamente forte, ho fatto un po' di nomi, chiedo scusa ai ai compagni che non ho nominato. Una squadra che voleva fare un campionato di vertice e il girone d'andata fu terribile perché girammo, se non sbaglio, quintultimi, sestultimi, una cosa di questo genere e io ho trovato delle grandissime difficoltà a entrare nella mentalità e nei meccanismi di gioco dell'allenatore, che era Zeman"

Tutto è cambiato col cambio allenatore...

"Alla seconda giornata di ritorno ci fu il cambio, arrivò Dino Zoff, una persona straordinaria, non c'è bisogno che lo dica io, penso che l'abbiano capito tutti, uno di poche parole e tanti fatti e con lui cominciamo un girone di ritorno stratosferico, fino ad arrivare a chiudere il campionato al quarto posto. In questo girone stratosferico io ricominciai a segnare con continuità, ma soprattutto segnai il gol più importante di tutta la stagione, nel derby contro la Roma, dove perdevamo 1-0, entrai a un quarto d'ora dalla fine al posto di Beppe e con un uomo in meno segnai al 92º il gol del pareggio. Ti lascio immaginare cosa vuol dire”

Poi da lì vai a Napoli, dove forse sei stato l'ultimo a indossare quella maglia pesantissima che è stata la 10 del Napoli...

“Sì, sono stato l'ultimo ad averla indossata, secondo me in Serie A con il nome, perché credo che poi invece sia stata comunque riutilizzata, almeno in Serie C, quando ancora il nome non c'era sulle sulle spalle, fino a quando poi è stata è stata ritirata. Ovviamente Napoli sappiamo tutti che città è, sappiamo tutti che piazza, che tifoseria e indossare quella maglia per me è stato un grandissimo onore in una stagione assolutamente non felice, non fortunata, però ho dei bellissimi ricordi della della città, della gente. Un'annata sfortunata, però mi è capitato di fare il gol più importante della stagione a Torino contro la Juventus. A Napoli la partita dell'anno è quella contro la Juve e io segnai il gol del 2-2, anche lì nei minuti di recupero di sinistro, feci anche un bel gol che tra l'altro in una nota televisione a pagamento lo scorso anno venne inserito nei 50 gol più belli del Napoli contro la Juve, settimo posto, quindi mi ha fatto veramente piacere”

Bello, bello. Tu hai vissuto tifoserie incredibili come Lazio, Napoli, Livorno, Messina, Bari, cos'è che gli davi e cos'è che ti dava in cambio la tifoseria? Qual era il tuo rapporto con i tifosi?

“Non so, io so che la la gente e in particolar modo la gente di curva notava il mio modo di giocare e sentiva il mio modo di giocare, come io sentivo il loro modo di vivere il calcio. Io non so cosa avrei fatto se non avessi giocato a calcio come lavoro, però credo di poter dire che avrei fatto il tifoso di curva. Per me è una passione, il calcio è una passione forte e quindi credo che sarebbe andata così. Alla fine tutti i tifosi delle città dove sono stato oggi quando torno mi apprezzano, anche dove ho fatto meno bene, quello paradossalmente fa ancora più piacere, no? Perché dici vuol dire che la gente capiva che sì nella vita, nel lavoro, nel calcio, in ogni ambito ci possono essere momenti belli, brutti, ci possono essere soddisfazioni, ci possono essere fallimenti, ma anche nel fallimento, se hai dato tutto te stesso, puoi solamente guardarti allo specchio e dire io più di così non potevo fare, ecco, questo la gente l'ha percepito, l'ha capito. E questa è la cosa di cui vado più orgoglioso in assoluto oggi, che ho 57 anni, rispetto a quello che ho fatto nel calcio”

Dopo Napoli, torni brevemente alla Lazio...

“Esatto. Vinciamo la Supercoppa italiana a Torino contro la Juventus e poi dopo 2-3 mesi vado alla Reggiana. Tra l'altro nel ‘98, una cosa che ho detto poche volte, l'anno di Napoli ho praticamente giocato tutta la stagione con infiltrazioni alla caviglia, per problemi gravi che avevo alla caviglia destra. Conclusi anticipatamente la stagione facendo un'operazione a Bologna alla caviglia, poi tornai qualche mese alla Lazio, poi andai alla Reggiana e alla fine dell'anno, di

quell'anno lì, decisi di tornare in Serie C a Livorno. Praticamente a 3 anni di distanza dall'essere capocannoniere in Serie A decisi di tornare a Livorno, cosa che spiazzò completamente il mio procuratore”

Il ritorno a Livorno...

“Il mio procuratore era Antonio Imborgia che mi dette del pazzo, forse giustamente dal punto di vista professionale e aveva sicuramente ragione. Io però il calcio lo vivevo così e avevo deciso così, volevo così, avevo promesso a suo tempo che avrei fatto così e quindi ho preso quella decisione totalmente antieconomica perché rinunciai a a tantissimi soldi. Avevo un contratto da 1 miliardo di lire e andai a Livorno a guadagnare 320 milioni, parliamo di lire, non 320 milioni di euro, da 1 miliardo di lire a 320 milioni. Erano sempre tanti soldi però diciamo, un terzo rispetto a quello che avrei guadagnato da altre parti. Così ho deciso e dopo il tempo ha premiato la mia decisione, malgrado alla fine di quel primo anno le cose non erano andate come tutti si aspettavano. Alla presentazione a Livorno quando io tornai c'erano 10.000 persone, tutti si aspettavano che quello fosse l'anno del ritorno in Serie B e invece l'anno fu complicato, difficile. Io segnai 11 gol e ebbi una squalifica importante di 10 giornate dopo un derby contro contro il Pisa”

Cosa successe lì?

“Entrai in campo totalmente da tifoso e mi presi in maniera forte con un loro difensore. Poi quando l'arbitro mi buttò fuori persi il lume della ragione, andai verso il guardalinee in maniera non ortodossa, insomma... alla fine andò così. Alla fine di quella stagione la società mi chiamò in sede chiedendomi, offrendomi dei soldi per rescindere il contratto attraverso attraverso l'allora direttore sportivo. Risposi che non avrei accettato nessuna cifra per rescindere il contratto perché avevo preso un un impegno con la città, con i tifosi. Avevo un contratto di 2 anni, sarei rimasto un altro anno e poi dopo alla fine di quell'anno lì erano liberi di fare ovviamente quello che volevano”

L’anno dopo andò meglio, decisamente...

“Rimasi e quell'anno andammo a fare la finalissima play-off contro il Como. Tra l'altro, dopo che in semifinale ebbi un grandissimo problema al ginocchio, una distorsione che mi creò grandi problemi. Non potei giocare da titolare né nella finale di andata né in quella di ritorno. Giocai per disperazione l'ultimo quarto d'ora, ma avevo il ginocchio che mi ballava completamente e perdemmo la Serie B al 120º minuto dei supplementari su autorete. Lì mi è crollato veramente il mondo addosso perché sinceramente è come è come uno che arriva a un metro da una montagna di chilometri e chilometri e chilometri e quando sei a un metro scivoli giù e devi ripartire da valle”

Che successe dopo quella delusione enorme?

“Quell'anno la società mi chiese di rinnovare il contratto, visto che comunque avevo fatto una stagione dove ero stato capocannoniere. Ho rinnovato il contratto e il terzo anno è stato quello giusto, che ci ha permesso di andare in Serie B. Di nuovo capocanoniere con 27 gol e perdendo una sola partita, una sola partita in tutto il campionato in 34 gare, abbiamo festeggiato matematicamente la promozione solo all'ultima giornata, che è una cosa pazzesca perché lo Spezia ha fatto un campionato incredibile. L'unica partita che abbiamo perso, contro di loro, a cinque gare dalla fine in casa e ce li ha riportati sotto a un punto e abbiamo dovuto vincere le ultime quattro partite per poter festeggiare la Serie A. Ovviamente grande merito anche a una grande squadra come lo Spezia di quell'anno”

Ma quel gol famoso dov'era? Quello che poi ti arrampichi sulla rete, a Treviso?

“A Treviso, sì. Faccio gol a 3 minuti dalla fine con le ultimissime energie che avevo, perché veramente ero sfatto, giornata caldissima. Poi ti lascio immaginare la tensione, consapevole che l'unica strada che avevamo per andare in Serie B dopo che l'anno prima l'avevamo persa al 120° minuto era quello di vincere quella partita. Ho messo tutta la forza che mi è rimasta in quel tiro, la palla entra dentro e poi vado, mi arrampico alla rete, comincio a urlare talmente forte che mi sono lussato la la mandibola e per un po' di mesi ogni volta che mangiavo sentivo uno schiocco qui alla mandibola vicino all'orecchio”

Gioia profondissima...

“È stata una liberazione totale per me, ma credo per tutti i tifosi del Livorno e oltre a tutta quella marea di gente che c'era a Treviso, la cosa che ricordo poi sono le persone anziane che incrociavo in città nei mesi successivi, neanche che mi guardava e diceva "Igor io quando ero alla radiolina” oppure allo stadio, chi poteva, “quando hai fatto gol ho pianto". E questa è una cosa che mi è rimasta, perché a quella gente è tornato in mente il Livorno di 32 anni prima che era stato in Serie B e non l'aveva più visto lì”

Ancora oggi, in un giorno normale durante la settimana, ti capita che la gente ti fermi quando ti trova o no?

“Sì, mi capita. Chiaramente dove vivo capita poco, perché sono abituati a vedermi. Però capita, è successo anche ieri ad esempio un ragazzo che mi ha detto che sono stato il più forte del Livorno della storia, il suo giocatore preferito, un ragazzo giovane tra l'altro. Poi mi capita magari quando vado fuori, quando torno a Bari vengo accolto che quasi mi imbarazza, nel senso che la gente veramente mi dimostra un affetto totalmente ricambiato, enorme e magari dove ti vedono un po' meno, lì si riversa tutto insieme”

Quando sei tornato a Livorno nel 1999 anche tu hai fatto “Tenetevi il miliardo” (titolo del noto libro di Lucarelli, ndr) di fatto, come Cristiano...

“Tenetevi il 680 ho fatto, tenetevi il 680! (ride, ndr)”

Che altre squadre ti volevano?

“Allora sicuramente c'era un'altra squadra di Serie B, non mi piace fare nomi perché mi sembra di sminuire queste squadre. Era stata proprio una scelta, perché andava al di là della categoria e al di là delle squadre, un'altra squadra di Serie B che mi faceva un contratto da 1 miliardo per 2 anni e invece andai da Livorno a fare 320 più 320, quindi diciamo che è forse più di un miliardo, pensandoci bene, 680 + 680 fa più di un miliardo, però vabbè, io il libro non l'ho scritto, va bene così”

48 gol in Serie A, 101 in Serie B, 82 in C. Quattro titoli di capocannoniere, di cui tre consecutivi a Livorno. Due promozioni con Livorno, una con il Bari. Sei contento della tua carriera?

“Ah, contentissimo. Se qualcuno mi avesse detto che un giorno sarei stato capocannoniere in Serie A gli avrei dato il pazzo perché io fino a 15 anni giocavo centrocampista, quindi era una cosa totalmente impensata e impensabile. E poi la cosa che più riempie questo percorso è quello che ti dicevo prima, l'affetto e il rapporto che ho avuto con le città e le tifoserie in cui ho giocato, tifoserie con cui ho vissuto momenti belli e momenti brutti. Rapporto che rimane anche a distanza di tanti anni. Ecco, quello credo che sia il risultato più grande al di là dei campionati vinti o persi o i titoli di capocannoniere. Quella è la mia più grande soddisfazione. Ho un solo grandissimo rammarico”

Quale rammarico?

“Non c'entra niente con la nazionale. No, ho solo un grandissimo rammarico, riguarda il mio babbo che, come credo un po' tutti i ragazzi, era il mio primo tifoso. Ho detto prima che ho visto la mia prima partita da piccolissimo allo stadio di Rimini sulle sue spalle, quindi mi seguiva, mi guardava, mi diceva i suoi pensieri, credo di non avergli mai sentito dire dirmi bravo, anche quando nelle giovanili facevo tre gol. Se mi doveva dire qualcosa, mi diceva qualcosa che secondo lui avevo sbagliato, magari per spronarmi e cercare di migliorarmi. Il rammarico è quello che il mio esordio in serie A è arrivato nel 1994 e il mio babbo l’ho perso nel 1993. Quindi dal punto di vista sportivo è quello, dal punto di vista umano è che il suo desiderio era quello di diventare nonno e il mio primo figlio è arrivato 20 giorni dopo la sua morte. Queste sono le cose che veramente mi pesano del mio percorso e della mia vita, perché per il resto posso solo dire grazie, posso solo essere strafelice di tutto quello che ho avuto e sarebbe veramente poco serio, poco corretto da parte mia avere dei dei rimpianti sportivi”

[L’intervista a Protti continua nella terza parte, mentre cliccando qui trovate la prima parte oppure qui sotto in formato VIDEO]

René Pierotti

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