
Terza e ultima parte dell'intervista al bomber classe 1967. In questo episodio l'amore per Livorno, l'avventura con Mazzarri e Lucarelli e la serie A
Ecco la terza e ultima parte dell’intervista esclusiva a Igor Protti. La pubblichiamo oggi, 22 maggio 2025, nell'anniversario esatto dell'addio al calcio di Protti. Ultima partita, e ultimo gol, in un Livorno Juve.
Qui trovate la prima parte dell'intervista, e qui la seconda.
Tu sei andato vicino al ritiro o quantomeno a lasciare Livorno nel 2003...
“Sì, 2003, quando dopo il primo anno primo anno di Serie B sono diventato capocannoniere, ero stato capocannoniere di Serie A, ero stato capocannoniere in Serie C due volte nel 2002-2003 e ora capocannoniere in Serie B. Ero tornato a Livorno per riportare il Livorno in Serie B e l’avevo riportato, fatto il campionato di B più capocannoniere ho detto, sinceramente così non trovo altri obiettivi da poter prefissare”
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E invece...
Poi succede che arriva Walter Mazzarri e arriva Cristiano Lucarelli. Io ero in vacanza con la mia ex moglie e con i figli e cominciano ad arrivarmi telefonate del presidente Spinelli, e cominciano ad arrivarmi le telefonate di Cristiano. Poi cominciano ad arrivare le telefonate del mister Walter Mazzarri, che incontro e mi fa una buonissima impressione. Vedo la squadra fatta, una squadra con buona parte dei miei ex compagni, miei ex guerrieri della vittoria del campionato dalla C alla B e poi dell'anno precedente in B, fatto con una salvezza abbastanza tranquilla, quindi giocatori e persone delle quali mi fidavo molto. Comincio a pormi un altro obiettivo e a pensare che si possa veramente puntare a qualcosa al quale non avevo mai pensato fino a quel momento perché, ripeto, il mio unico obiettivo quando sono tornato a Livorno nel 1999 era cercare di ritornare in Serie B. L'allenatore Mazzarri, dopo l'incontro che abbiamo avuto, mi aveva fatto una straordinaria impressione. I giocatori e la rosa, quindi dico "Ma possiamo provare vincere il campionato e andare in Serie A?" Mi sembrava quasi una follia, però secondo me si ci si poteva provare, ce la potevamo fare. Così ho deciso di rientrare e poi così è andata. Abbiamo vinto il campionato, un campionato lunghissimo, fatto di 46 partite perché in quell'anno le squadre furono 24 invece che le solite 20, per vicissitudini legate al Catania con il TAR eccetera. Quindi decisero poi di ripescare tutte le quattro squadre che erano retrocesse nell'anno precedente”
Campionato infinito, 46 partite...
“Io avevo 37 anni e ho giocato tutte e 46 le partite. Credo di essere stato uno dei pochissimi insieme ad alcuni portieri delle altre squadre, perché fare 46 partite e non saltarne neanche una era già difficile per tutti. Io a 37 anni le ho fatte tutte e siamo arrivati in Serie A, in un campionato dove, vado a memoria, c'erano Fiorentina, Napoli, Atalanta, Torino, Palermo, Bari, Verona, Genoa, cioè tutte squadre che poi negli anni stavano in Serie A stabilmente. Squadre veramente veramente forti, importanti, storiche, cioè un campionato durissimo e noi siamo riusciti a festeggiare la promozione in un campionato del genere”
Coppia Lucarelli-Protti strepitosa, da subito intesa incredibile, è stato il compagno con cui ti sei trovato meglio in attacco?
“Eh beh, sicuramente abbiamo avuto un'intesa immediata, in campo ci vuole sempre un pochino di tempo, perché Cristiano, rispetto a me, era più abituato a vivere il reparto d'attacco molto su se stesso, nel senso che probabilmente lui avendo questa fisicità, questo anche modo di giocare combattivo, le squadre dove aveva giocato fino a quel momento probabilmente si erano affidate molto a lui Nel momento in cui sei in difficoltà, siamo in difficoltà che si fa? Si butta la palla a Cristiano. Poi pensaci tu, combatti la guerra... Quindi lui si era abituato. Con le settimane e i mesi abbiamo sviluppato questa intesa dentro al campo”
All'inizio facevi più gol tu, lui arrivò dopo...
“Sì, segnavo io poi ha cominciato lui, storicamente per lui l'inizio della stagione era un pochino più complicato perché per le caratteristiche fisiche entrava in forma un po' dopo, io invece facevo prima. È un ragazzo ovviamente intelligente e ha capito subito che con me poteva e doveva cercare di collaborare. Io dico sempre, anche oggi quando ho fatto il dirigente, agli attaccanti quando giocano in coppia: ‘voi ogni cosa che fate in campo quando siete davanti, dovete farla in funzione del vostro compagno d'attacco, nel senso che voi, in qualunque zona del campo siete, dovete sapere dov'è il vostro compagno d'attacco, dovete vedere cosa fa. Voi il movimento lo dovete fare in funzione sua, dovete essere marito e moglie, dovete ragionare in quel modo lì’, cosa che invece vedo che spesso e volentieri non funziona. Ho avuto difficoltà a farlo capire a volte ai miei attaccanti”
Tu che lei vissute tutte e due, è stata più grande la festa per la B o la festa per la A? Da fuori ho l'impressione che per la B quasi stata di più...
“Sì, a Livorno sì. Ovviamente a livello nazionale la risonanza è stata più grande quella promozione di Serie A e ha sicuramente portato dal punto di vista dell'immagine, della piazza, dell'importanza il fatto di essere arrivati in Serie A. Però la promozione in Serie B, per quelli che sono sempre stati i veri grandi tifosi del del Livorno, secondo me è stata la promozione più bella perché è stata una liberazione, una liberazione per tutti. Sembrava una maledizione che non si potesse togliere, invece ci siamo riusciti”
L'anno dopo in Serie A l'annata va bene, c'è quell'esordio straordinario con i tifosi a Milano, con le bandane. Tu segni 6 gol in 27 partite, ma avevi davvero finito la benzina, perché insomma per te sei gol sono pochi...
“Allora, è stato un campionato partito tra mille difficoltà e anche tra mille polemiche, perché inizialmente, sinceramente, ci bastonarono un po', non so perché poi dopo le cose si appianarono. Però avevo 38 anni, secondo me stavo bene dal punto di vista fisico, però poi dopo arrivi a giocare ogni campionato e ha le sue difficoltà e più sali e più le difficoltà ci sono, perché trovi difensori forti, difensori fisici. Fare gol è sicuramente più difficile, più complicato, ma io ritengo che per uno che chiude a 38 anni in Serie A fare sei gol non sia così poco, tra l'altro aiutando Cristiano a fare i suoi 24 che gli permisero di diventare capocannoniere del campionato”
Riguardavo l'ultimo gol tuo nell'ultima partita con la Juve, salti di testa, Cannavaro che l'anno dopo avrebbe vinto il Pallone d'Oro, non la prende e tu la prendi. Mi ha ricordato il primo gol di Pelè nella finale mondiale del 70, che lui salta sopra Burgnich…
“Ricordo, me lo ricordo. Sì, è molto simile. Io saltavo tanto, sinceramente. Ho incontrato i difensori più forti, secondo me, della storia, adesso farò dei nomi e fare i nomi è sempre brutto, no? Perché poi ti dimentichi qualcuno, però faccio i nomi che mi vengono in mente: Fabio Cannavaro, Marco Materazzi, Ciro Ferrara, Alessandro Nesta, come stranieri Jürgen Kohler della Juventus che secondo me era veramente forte. Fernando Couto, Sinisa Mihajlovic, Vierchwood, Paolo Maldini che, lasciamo stare, per amor di Dio. Franco Baresi!, che tra l'altro nel Natale del ’95, aprii il quotidiano sportivo e in un'intervista a Baresi chiesero quale era il giocatore che più l'aveva impressionato per il momento di Serie A: lui fece il mio nome. Sinceramente rimasi... cioè parliamo veramente di un monumento del calcio italiano. Ecco, l'unico difensore che poi c'è stato che si può paragonare a questi grandissimi monumenti è Giorgio Chiellini, che è una generazione dopo, ma secondo me possiamo metterlo insieme a questi questi monumenti del calcio”
Dicevi della nazionale, tu in nazionale non sei mai stato, penso neanche convocato. Tu sei del 1967… Baggio è del ‘67, Zola del ‘66, Mancini ‘64, Signori ‘68…
“Infatti, parliamo appunto di giocatori di fantasia che facevano la differenza, no? Cioè noi siamo passati da quell'epoca in cui c'erano cinque fuoriasse assoluti cioè Roberto Mancini, Francesco Totti, Alessandro Del Piero, Roberto Vaggio e Gianfranco Zola, cinque straordinari, no?, fuori dalla media e tutti e cinque nello stesso periodo. Oggi ci ritroviamo a non averne neanche uno. Credo che si debba cominciare a riflettere su cosa si è fatto a livello giovanile negli ultimi 20 anni, perché non si può dare la colpa alle mamme che non fanno più i talenti. I talenti vanno allenati, vanno cresciuti, vanno sostenuti e il talento non va soffocato. Sono 20 anni che a livello giovanile abbiamo seguito le direttive di allenatori che dicevano che bisognava giocare un tocco, due tocchi, un tocco e questi giocatori di fantasia sembravano quasi un peso rispetto al alla squadra. Invece questi giocatori di fantasia sono la bellezza del calcio
Tornando a Livorno ti chiedo: cos'ha di speciale Livorno?
“Allora... Livorno, come si fa? Come quando ti innamori di una donna e ti chiedono ‘cosa ha di speciale?’, ci sono delle chimiche, delle cose, è sicuramente una città con grande passione. Io mi sono innamorato. Diciamo che caratterialmente sono sempre stato attirato da chi ha difficoltà, no?, quelli che vincono sempre a me non sono proprio piaciuti tantissimo, quindi probabilmente questa è stata una delle motivazioni per cui è scattata questa scintilla”
Quali sono i tuoi posti preferiti di Livorno?
“Pensa che a Livorno io ci ho vissuto solamente 3 anni, sui tanti anni in cui ho giocato e poi ho fatto il dirigente, da calciatore ho fatto 9 anni più 5 anni da dirigente e quindi sono 14 anni. Di questi 14 anni solo i primi tre dall'85 all'88, perché poi ho sempre vissuto a Cecina, e ho fatto avanti e indietro. Se mi chiedi il posto preferito, i due posti preferiti, uno è lo stadio e uno il lungomare, quando ci sono i tramonti di settembre in particolar modo”
Un tuo tifoso e mio amico, Diego Perez, mi ha chiesto di chiederti del litigio con gli ultras nella trasferta di Messina e poi della pace, come nei grandi amori...
“La litigata a Messina è una litigata di gelosia. A Messina avevo giocato 3 anni, quando tornai a distanza di tanto, perché io ero andato via da Messina nel 1992 e stiamo parlando dell'anno 2002, quindi 10 anni dopo, andiamo a Messina allo stadio Celeste, strapieno come al solito, entro in campo e tutto lo stadio in piedi ad applaudire con i tifosi in campo che mi danno sciarpe, targhe, in ricordo dei tre anni vissuti insieme. Facciamo la partita, perdiamo, vado a salutare i ragazzi che erano venuti a Messina, avevano fatto più di 1000 km per seguirci e comincio a sentire offese, sinceramente rimasi perplesso. Sul momento, mi sembrava di sognare. Dicevo, ma che succede? C'è qualcosa che non va, no? Quindi la mia prima reazione quando sono arrivato in spogliatoio, ho detto ‘No, non c'ho capito niente, così è inutile, smetto’. Il calcio l'ho vissuto in un certo modo, non come professione, ma come qualcosa veramente da condividere con la gente che veniva a vedermi. Dopo ho ricevuto una telefonata da parte di uno dei ragazzi, chiedendomi di incontrarci e dopo la chiacchierata ho capito che quello che all'inizio era ‘ma non ti sei impegnato’ non aveva niente a che fare col mio modo di essere, il mio modo di vivere il calcio. Poi dopo si può giocare bene, si può giocar male, ma l'ultima cosa che a me si poteva dire o pensare era questa, no? Dopo ho capito, al di là della delusione del momento, ho capito che quello era un amore che si era trasformato in gelosia, gelosia del fatto che anche altre persone, altra gente mi volesse bene, e che io comunque volessi bene anche ad altre piazze, altre città. Però io l'ho detto ai ragazzi, le maglie che ho indossato le ho indossate tutte con amore e con senso di responsabilità e senso d'appartenenza. Non chiedetemi di cambiare atteggiamento perché se un domani dovessi andare via da Livorno e dovessi tornare a Livorno, dovrei far finta di non volervi bene? Quindi è molto una chiacchierata molto facile, nel senso che entrambi avevamo capito dov'era il problema”
Tu quando eri calciatore, ma anche ora sognavi o sogni mai di giocare a calcio, le partite, gol, cose?
“Sì, sì, prima sì. Alle elementari, mia mamma non so se ce l'ha sempre, feci un tema in cui scrissi che volevo fare il calciatore, che sognavo di giocare la finale di Coppa dei Campioni. Quando ero ragazzino ero tifoso milanista, in famiglia erano tutti milanisti, quindi sognavo di giocare la finale della Coppa dei Campioni con il Milan, quello sì, sicuramente mi capitava di sognarlo anche la notte. Nei primi anni di professionismo la notte prima della partita non riuscivo mai a dormire e ho dovuto fare un percorso anche lì dal punto di vista di crescita, perché questo fatto di avere l'ansia di di voler comunque accontentare le persone, dimostrare, cioè mi toglieva energia, perché non dormire la sera della partita poi comunque incideva sulla prestazione. Ho dovuto fare un percorso fino ad arrivare addirittura a metà anni ‘90, 95-96 con il Bari, a dormire un'ora prima di andare in campo a fare riscaldamento, sul lettino del dottore Lerario. Andavo lì e riuscivo a rilassarmi, a volte riuscivo a dormire un quarto d'ora, 20 minuti, prima di andare a fare il riscaldamento. Oggi non sogno partite o cose, no, sinceramente. Non ricordo spessissimo i sogni che faccio”
Dal 2005 a oggi cosa ha fatto Igor Protti e cosa fa?
“Appena smesso con il calcio, l'ho lasciato per un po' e mi sono proprio distaccato, ho seguito alcune mie strutture, che insieme ad altri soci avevamo messo in piedi, quindi facendo un pochino l’albergatore, dopo ho fatto per qualche anno l'osservatore per una squadra di Serie A, cosa che mi è piaciuta molto perché che comunque ho girato l'Europa, ho visto campionati, ho visto giocatori e la soddisfazione di vedere ragazzi magari sconosciuti che poi dopo trovi ad aver fatto grandi cose, grandi campionati. Un nome? Bernardeschi della Fiorentina. Lavoravo per una squadra di medio o bassa classifica in Serie A, quindi chiaramente non si andavano a vedere giocatori di un livello enorme, però se vado a prendere tutte le schede, le partite fatte, veramente tantissimi giocatori, anche dalla dalla Polonia, Milik, che è un giocatore che avevo visto la prima volta che giocava con l’Under 21 polacca. Un altro è Orsolini. Tre anni da osservatore, poi ho fatto un anno come dirigente al Tuttocuoio, insieme a Cristiano, che era allenatore. Poi sono tornato a Livorno nel 2016, quando era tornato in Serie C. Mi ha richiamato il presidente Spinelli. Abbiam fatto due campionati, primo anno play-off e l'anno dopo abbiamo vinto il campionato con Andrea Sottil allenatore, siamo tornati in Serie B. Poi ho fatto l'anno di Serie B, che ci siamo salvati all'ultima partita facendo un miracolo. Dopo sono stato qualche anno fermo e poi sono stato richiamato a Livorno un'altra volta, perché nel frattempo il Livorno dalla Serie B è fallito ed è ripartito dall'Eccellenza. Da dirigente dall'Eccellenza siamo arrivati in Serie D e dopo il primo anno di Serie D c'è stato il cambio di proprietà e ho deciso di non rimanere. Adesso, da un anno e mezzo, sono a casa. Ho anche l'impegno da nonno adesso, perché sono nonno bis, non bisnonno, eh, perché sarebbe troppo”
Si può dire, riassumendo, che i tifosi si fidavano di te quando eri in campo?
“Sì, io penso di sì, mi vedevano come un un ultras in campo. Secondo me si fidavano e spero di non sbagliarmi, ma sono certo che è così”
René Pierotti
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