Empoli Nostra - Storie, l’orzo della Vecchina e l’operaio che ne custodisce ancora il sapore

Un viaggio nella memoria, tra profumi di tostature e aneddoti di fabbrica. Torna la rubrica 'Empoli Nostra - Storie', curata da Paolo Pianigiani, appassionato di storia locale e fondatore dell’omonimo gruppo Facebook. Il progetto, realizzato in collaborazione con RadioLady e gonews.it, nasce per far riscoprire ai cittadini l’anima profonda dell’Empolese Valdelsa, attraverso storie autentiche, interviste e documenti d’archivio.

Protagonista della puntata di andata in onda ieri, 11 giugno 2025, è La Vecchina, storico marchio empolese produttore di surrogato del caffè a base di orzo, attivo fino agli anni ’70. Una storia tutta locale, raccontata da chi l’ha vissuta: Carlo Cappelli, ex dipendente, e Paolo Rousseau, discendente della famiglia fondatrice, intervenuto telefonicamente. A fare da guida, naturalmente, Paolo Pianigiani.

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"La storia de La Vecchina comincia nel 1880 con Archimede Rousseau -, racconta Cappelli. Girava le campagne con un calesse, vendendo orzo, grano, verruche, fave tostate. Spesso veniva pagato in natura". Un’attività che si sviluppò col figlio Bruno, grazie anche agli accordi con l’esercito per la fornitura del surrogato. Ma fu con Silvio e Giuseppe Rousseau che l’azienda conobbe il suo massimo sviluppo, culminando nella creazione del primo impianto di orzo solubile in Italia, su brevetto tedesco.

Negli anni d’oro, La Vecchina contava una sessantina di dipendenti, un camionista per i trasporti lontani e due autisti interni. "Eravamo un modello - ricorda con emozione Carlo Cappelli - ottenemmo persino un premio di produzione, cosa rara all’epoca. Parte dei guadagni extra finivano nelle buste paga degli operai".

Cappelli, oggi tra i pochi superstiti di quell’esperienza insieme ai colleghi Uncerelli Giancarlo, Lari Pierluigi, Alfredino Ciampalini e all’ultimo dei Rousseau, ripercorre con commozione la parabola dell’azienda. Non solo lavoro, ma anche formazione politica: "Alcuni ex operai, come Micheli Marrigo e Bertini Giuliano, partirono da Ponte a Elsa per unirsi ai partigiani. Mi trasmisero ideali, valori, coscienza".

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Il declino cominciò a metà degli anni ’70. Le redini passarono ai figli Giovanni e Paolo, che non seppero rilanciare la produzione. Si tentò, senza successo, di riconvertire parte dell’impianto per produrre aranciata solubile. L’impianto venne lentamente abbandonato, e con esso, l’azienda.

"Qualcuno propose una cooperativa per salvarla - confessa Cappelli - ma fui io a bloccare tutto. Credevo che altre opportunità lavorative avrebbero compensato. Fu un errore. Il suono della sirena e il profumo del tostato li porto ancora con me. In quelle mura ho lasciato un pezzo di cuore".

Anche Paolo Rousseau ricorda: "La Vecchina non utilizzava solo orzo, ma anche cicoria, carrube, fave, ghiande, piselli. La miscela variava in base alla disponibilità, ma ogni confezione era unica". Pianigiani aggiunge un dettaglio curioso: "Il volto della Vecchina era un personaggio inventato. Ho rintracciato l’autore di quel volto: Aldo Mazza, illustratore milanese, lo disegnò per una ditta lombarda, Achille Briosci. Il disegno venne poi acquisito e registrato ufficialmente dall’azienda empolese".

E non era solo orzo quello che si tostava in fabbrica: "La miscela de La Vecchina era composta da orzo, ghiande, fave, carrube, piselli, cicoria… – racconta ancora Cappelli – dipendeva da cosa si aveva a disposizione. L’orzo puro aveva una confezione diversa. Anche la cicoria veniva venduta separatamente".

Ma la storia non finisce del tutto in quegli anni. Ancora oggi, una parte dell’eredità de La Vecchina sopravvive. "La cessazione dell’azienda mi pesa molto - conclude Cappelli - anche perché altre ditte hanno saputo cogliere l’eredità. La Crasta di Pontedera ha rilevato l’impianto solubile e continua a produrre orzo solubile. Io stesso continuo a usarlo: è il prodotto che avevamo valorizzato, ma prodotto da un’altra ditta".

La puntata si chiude con una piacevole sorpresa: Carlo Cappelli, oltre a essere stato un instancabile lavoratore e testimone della storia de La Vecchina, è anche un artista. "Andavo benino finché non si ammalò mia moglie - racconta -. Avevo quadri a cortona, viareggio e livorno. ero anche abbstanza quotato"

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