L’Ebrea, storica performance di Fabio Mauri rivive a Firenze


Una giovane ragazza si taglia i capelli, con i quali, sullo specchio posto su di un muro di fronte a lei, forma il simbolo della Stella di Davide. Lo stesso simbolo è disegnato sul suo petto, la giovane è nuda, accanto ad un numero, il marchio della discriminazione razzista: lei è l’“Ebrea”. Di fronte a lei, una serie di sculture- oggetti, compongono una raccolta di feticci fatti con ossa e pelle umana. Pelle ebrea. E’ la rappresentazione del puro male, oscuro e cinico versato in tutte le pieghe del secolo passato. Il rito si ripete, ancora una volta con la stessa tensione emotiva, a Firenze nella sala affollata al primo piano del museo. In occasione della “giornata della memoria” il Museo del Novecento ripropone questa performance del 1971 che l’artista Fabio Mauri (1926-2009) presentò a Venezia nella Galleria Barozzi, sotto la guida di Renato Barilli e Furio Colombo. Da quel giorno “l’Ebrea” resta una delle performance più significative dell’arte italiana legate al tema della violenza e della discriminazione razziale.

Erano gli anni Settanta, c’era stata la liberazione dell’arte dai canoni classici, così il corpo diventa fisicamente il terreno della sperimentazione. Mauri è tra i maestri di queste neoavanguardie, ma ciò che resta più forte di tutto, allora come oggi, è il linguaggio e il contenuto del messaggio. Se ancora forte è il sentimento e la paura, l’odio e il razzismo si addensano nel futuro prossimo. La performance dell “L’ebrea” un simbolo. E’ l’arte che parla del passato e del futuro, l’arte che da concetto si fa azione. E’ una riflessione sul male, sul linguaggio della violenza. Soprattutto su questi temi si è interrogato il lavoro dell’artista. Rappresentare il male del “singolo” che si fa sofferenza della collettività con uno specifico linguaggio fatto spesso di simboli.

Mauri è impegnato sull’estetica in Italia già dagli anni Sessanta come artista e scrittore, ma il suo sguardo è attento su un tema particolare, condiviso e sofferto anche dall’amico Pier Paolo Pasolini, il “fascismo”. Proprio attraverso le performance come “ ”Ebrea, l’arte può convogliare interrogativi mai sciolti sul fenomeno che non sembra mai sopito, anzi, che ancora oggi serpeggia in strane e dilaganti pulsioni.
Altra opera dell’artista drammaticamente attuale sarà esposta dal 27 gennaio al 23 febbraio nella Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio: l’installazione Il Muro Occidentale o del Pianto che fu presentata per la prima volta dall’artista nel 1993 alla XLV Biennale di Venezia. Un muro di quattro metri, formato da un cumulo di valigie e bauli accatastati, di differenti dimensioni e materiali (legno, cuoio, tela) che invita a una profonda riflessione sui temi dell’esilio, dell’esodo forzato e delle migrazioni, nella loro varietà e complessità.

La performance, invece, sarà riproposta al Museo del Novecento il 27 gennaio, può essere l’occasione per approfondire lo sguardo su altre opere dell’artista, esposte nella mostra:”Solo Disegno”.

 

Alfonso D'Orsi

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