Tra norma e scelte politiche: è polemica sulla legge elettorale in Toscana

Raccolta sottoscrizioni, tempi e modi: querelle negli ultimi giorni per quanto concerne le regionali in vista


A meno di un mese dalle Regionali si è aperta la polemica sulla Legge elettorale della Regione Toscana. Prima un ricorso al TAR, poi le accuse sugli ostacoli che le nuove liste stanno riscontrando nella raccolta delle sottoscrizioni, infine una messa in discussione dell'impianto generale della legge con la richiesta di modifica e una raccolta firme.

La questione ha un piede nell'oggi e uno nel passato. Da una parte la scelta del presidente in carica e neocandidato del 'campo largo' Eugenio Giani di indire le elezioni il 12 agosto, in piena estate, per il 12-13 ottobre appare un po' 'tardiva', dall'altra la legge in sé, o meglio i premi di maggioranza a essa connessa, fanno storcere il naso soprattutto a sinistra.

La querelle è nata da un ricorso al TAR di Democrazia Sovrana Popolare, la nuova 'creatura sovranista' di Marco Rizzo, per poi arrivare all'attenzione di molti per le proteste di Antonella Bundu per Toscana Rossa, che ha fato luce su alcuni impedimenti  nella raccolta firme nei comuni a causa dei vincoli temporali per le richieste di suolo pubblico, infine si è trasformata in una critica a tutto tondo alla ratio maggioritaria della legge regionale, con la raccolta firme avviata dal Partito Comunista Italiano per modificare la legge.

I 'tempi' della nuova legge

Al di là del ricorso al TAR, che è stato per l'appunto bocciato, la questione è prima di tutto politica. La legge prevede che le liste non rappresentate in consiglio regionale raccolgano 9.000 firme nelle 13 circoscrizioni per potersi presentare. Un numero che "nel caso di gruppi costituiti successivamente ai sei mesi precedenti è ridotto ad 1/3". La norma, quindi, dà una sorta di diritto di prelazione alle liste già in consiglio regionale, anche se formate in corso d'opera come ad esempio la lista AVS rappresentata da Silvia Noferi.

La 'prelazione' è però aggravata dai tempi, troppo ridotti per permettere non solo la raccolta firme, ma anche la campagna elettorale che, peraltro, viene a cadere per gran parte nel periodo estivo. "È  scioccante  - spiega Antonella Bundu - che  in alcuni posti la gente non sappia nemmeno che si va al voto. Dovrebbe fare bene a tutti, non solo alle 'nuove liste' coinvolgere più persone possibili senza fare una sorta di rush finale. Servirebbe a diminuire l'astensionismo, gioverebbe alla democrazia". Per Marco Rizzo di Democrazia Sovrana Popolare "una norma fatta apposta per evitare che ci sia 'contaminazione' di una forza nuova: non c'è nessun partito politico che ha la forza di farlo, neanche il Pd"". 

Una circostanza che, a sentir Rizzo, condividerebbe anche il presidente Giani: "Mi ha detto che certamente la cosa era da considerare perché effettivamente - riporta Rizzo - anche lui ammetteva che 9.000 firme neanche il Pd riusciva a raccogliere. 'Ci sarà un dimezzamento, ci sarà una riduzione', mi diceva".

Che il sistema politico regionale tenda a semplificare la geografia politica e tenda al bipolarismo è un fatto evidente sia a livello normativo che politico, basti pensare appunto ai rispettivi più o meno flessibili campi larghi di destra e sinistra, ma la questione è si è avuto la sensazione che la data del voto sia stata palesemente dettata dall'agenda politica del PD alle prese con il campo largo. Era infatti comune la necessità di stare all'interno delle regole basilari della democrazia, 5 anni di mandato, senza superare il 2025, ma al tempo stesso il braccio di ferro interno al PD ed esterno con il M5S, ha 'ritardato' l'investitura di Giani. Questa è arrivata solo il 7 agosto, seguita non a caso pochi giorni dopo dall'indizione delle elezioni per il 12 e 13 ottobre. La sensazione, insomma, è che gli inciampi e gli ostacoli che si trovano a dover affrontare le 'nuove liste', oltre che l'imposizione di un tour de force elettorale in piena estate, siano il pegno pagato alla costruzione del campo largo.

Critiche erano state fatte presente a luglio anche dal candidato ancora in pectore del centrodestra toscano Alessandro Tomasi, certamente non 'a rischio firme', che aveva dichiarato qualche mese fa che "il giorno del voto è importante non per me o Giani, ma per fare una campagna elettorale vera in cui la gente possa informarsi. Inoltre potrebbero esserci altri candidati, e anche loro hanno il diritto di farsi conoscere". Poi l'affondo a Giani: "È insopportabile usare la data del voto per una battaglia interna al PD come è emerso in questi giorni dal confronto Giani-Schlein. Si decida di concerto con la Conferenza delle Regioni, ma questo squallido banchetto sulla data del voto non fa bene alla democrazia. Si deve mettere le persone nelle condizioni di informarsi e scegliere. Non ci si può riempire la bocca di 'democrazia' e poi quando tocca a te determinare la qualità della vita democratica si usa la data del voto per minacciare i tuoi all'interno". Di fatto anche Tomasi indicava metà ottobre come data utile, il che non avrebbe cambiato di una virgola la questione di fondo, ma tant'è, i limiti del meccanismo di prelazione è ben noto a tutti.

D'altra parte, bisogna pur precisarlo, il centrodestra solo oggi ha sciolto il nodo candidato, mentre a sinistra il progetto Toscana Rossa è stato per mesi in cantiere: i  treni sulla linea 'Regionali 2025' sembrano accumulare ritardi, e ne va a discapito degli elettori.

Ritorno al 'proporzionale'?

Se la questione dei tempi e delle firme necessarie per le nuove liste è una questione nata nel 2025, da tempo, soprattutto a sinistra, si parla di modificare la legge elettorale regionale, andando a toccare proprio quei meccanismi bipolari e maggioritari che caratterizzano la amministrazioni locali italiane fin dai primi anni Novanta. A seguito della contingente polemica, il Partito Comunista Italiano ha avviato proprio una raccolta firme per modificare la legge ritenuta "lesiva dei principi di partecipazione e democrazia sanciti dalla Costituzione antifascista", facendo appello a quelle forze politiche che "hanno espresso forti critiche al sistema di potere del PD, 5 Stelle compresi".

Come è noto la legge regionale attualmente in vigore per l'elezione del Presidente della Giunta Regionale e del Consiglio Regionale è la L.R. n. 51 del 26 settembre 2014, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana il 30 settembre 2014. Si assegnano in tutto  40 seggi, ripartiti in tredici circoscrizioni. Viene proclamato eletto chi supera il 40% dei voti validi, altrimenti si procede a un ballottaggio tra i due candidati più votati. La legge prevede la ripartizione proporzionale dei seggi, ma garantisce un premio di maggioranza che varia in base al consenso ottenuto (60% dei seggi se eletti con percentuale tra i 45 e i 50, il 57,5% se ottenuto tra il 40 e 45% dei seggi). Sono previste soglie di sbarramento: il 3% per partiti all'interno di coalizioni e il 5% per liste autonome e 10% per le coalizioni di lista.

Da sinistra questa parrebbe una piattaforma unitaria su cui battersi, ma i tempi non sembrano troppo maturi per arrivare ad una proposta che possa superare il muro del maggioritarismo. Rizzo, che dalla geografia di sinistra si è apertamente discostato e parla di 'sovranismo', chiude tutte le porte nonostante condivida la critica alla legge: "La nostra legge elettorale è quella con le preferenze, con il popolo che sceglie e la proporzionale pura, una test aun voto", ma "non siamo interessati ad avere rapporti con nessuno e non appoggeremo niente". Per Bundu questo sistema di voto e di premi di maggioranza "penalizza la rappresentanza. Non è un bell'esercizio di democrazia se prendi il 40% dei voti e ti viene data una rappresentanza molto maggiore, ci pare un po' lesivo della democrazia. Quando saremo in consiglio porteremo avanti questa battaglia, ne stiamo parlando nelle assemblee, e lo faremo nell'interesse di tutti".

"Questa legge - spiega Bundu alludendo non troppo velatamente al 'campo largo' - è stata fatta apposta in nome del bipolarismo: si premia chi si mette insieme, ma poi come si governa? Quello che ci differenzia è mettere insieme un programma comune, mentre se si sta insieme per gridare 'al lupo al lupo' o per stare nei termini dello sbarramento, mettendo nel programma le cose più disparate, diventa difficile". 

"Siamo d'accordo con el proteste fatte anche da altri, è chiaro che siamo per la proporzionale pura", continua la Bundu spiegando che "questo tipo di rappresentanza accomuna le forze di sinistra", ma "non possiamo farla diventare la piattaforma comune su cui costruire la sinistra: l'unità della sinistra non può fondarsi su questo, ma su obiettivi comuni". Poi su Rizzo: "DSP non è sinistra, Rizzo è distante anni luce da noi"

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