Viareggio-Lucchese, molto di più di una partita di calcio

Il 2 maggio 1920, i tafferugli che seguirono il sentito derby toscano innescarono la rivolta popolare che si inserì nei disordini del "biennio rosso"


viaI movimenti operai e socialisti sono sorti fra il XIX e il XX secolo, contemporaneamente all'emergere e all'affermarsi dello sport moderno, che dalla Gran Bretagna si diffuse al resto del pianeta. La coincidenza non è casuale, dato che erano, gli uni e l'altro, sviluppi coerenti della cultura che si era imposta dalla metà dell'Ottocento, con l'avvento del liberalismo, il pieno dispiegarsi della rivoluzione industriale e l'insorgenza della borghesia quale classe dominante a livello economico e politico.
Per quanto i diversi filoni della sinistra abbiano espresso valutazioni articolate sullo sport e sulla sua rilevanza politica e sociale, in principio - e molto a lungo rispetto a correnti politiche di diversa estrazione - la visione progressista delle nuove attività ludico-atletiche era contraddistinta da un profondo sospetto, quando non da un aperta avversione “antisportista”: i socialisti ritenevano che lo sport rappresentasse una pratica borghese, un diversivo rispetto alla lotta di classe, una pratica caratterizzata da aspetti alienanti e competitivi propri del capitalismo, e come tale da rigettare in toto, perché d'ostacolo alla piena e consapevole espressione dell'antagonismo di classe e dell'impegno sociale di militanti e simpatizzanti: dei costumi moderni, in cui vanno annoverati anche gli spettacoli, i divertimenti familiari e conviviali, bollati sprezzantemente come "oppio dei popoli", i partiti socialisti diffidavano alquanto e cessarono di criticarli solo allorché riuscirono a canalizzarli - a scopo "pedagogico" - nei propri circuiti organizzativi.
Un esempio precoce della commistione fra calcio e politica rimanda a una dimenticata partita fra Sporting Club Viareggio e Lucchese, pochi mesi prima della scissione fra riformisti e rivoluzionari che al congresso di Livorno del 1921 diede i natali al Partito comunista d'Italia. Si trattava della gara di ritorno di una coppa regionale, dopo che all'andata i viareggini si erano lamentati di un'accoglienza non proprio improntata al fair-play da parte della tifoseria lucchese. Anche durante quell'epoca pionieristica, quando i calciatori erano studenti, bagnini, impiegati o artigiani, e le masse stavano ancora familiarizzando con uno sport relativamente misconosciuto (il Viareggio era stato fondato nel 1919), il derby era uno scontro sentitissimo, in cui si concentravano ben altre ragioni di contrasto.
Lucca aveva una vocazione commerciale, che rifletteva un'immagine di benessere e agiatezza. I viareggini invece erano portuali e piccoli artigiani legati alla cantieristica, colpiti duramente dagli strascichi della Prima guerra mondiale, che aveva fatto esplodere il carovita, dimezzato la flotta mercantile e acuito la disoccupazione, peggiorata anche dalla decisione della provincia di trascurare lo scalo versiliese a beneficio di quello di Livorno.

Il libro "Fare come in Russia" di Andrea Genovali rievoca le "giornate rosse" di Viareggio

Il libro "Fare come in Russia" di Andrea Genovali rievoca le "giornate rosse" di Viareggio

Alle fondate ragioni di disagio del proletariato costiero, si aggiunsero il fascino e l'attrazione suscitate dalla vittoriosa rivoluzione bolscevica, che aveva portato al potere nell'immenso ex regno zarista i soviet operai e contadini. Nell'estate del 1919, mentre già le spiagge erano affollate dal bel mondo che poco si curava delle acute traversie del popolo, la Camera del Lavoro a maggioranza anarchica e socialista indisse uno sciopero generale e provvide alle requisizioni dei generi alimentari, organizzandone la vendita a prezzi calmierati. La proclamazione delle repubbliche socialiste in Germania e in Ungheria alimentò lo spirito combattivo dei militanti socialisti, che si schierarono simbolicamente a fianco degli operai tedeschi e magiari. Il governo Nitti rispose con l'invio dell'esercito: la città fu blindata, non si usciva, né si entrava. Alle forze dell'ordine si affiancarono le “guardie bianche” costituite dagli allarmati ceti borghesi, che esigevano che agli scioperanti venissero tolte le tessere annonarie.
Ma lo spirito combattivo dei dimostranti non si placò e, all'inizio del 1920, gli operai occuparono i cantieri Ansaldo, cercando di sostituirsi alla direzione nella gestione della fabbrica.
Questo era dunque il clima sociale, ulteriormente infiammato dalla ricorrenza del 1° maggio, resa memorabile dal comizio della poetessa e anarchica milanese Virginia D'Andrea, che chiamò alla ribellione contro i padroni, lasciando sbigottiti tutti quanti, che mai si era vista una donna arringare una folla di proletari. L'indomani, ebbe luogo la gara. I padroni di casa, costretti a recuperare l'1-2 del primo incontro, partirono all'attacco e chiusero i primi 45 minuti di gioco con il doppio vantaggio. Nella ripresa, subirono però il ritorno degli ospiti, che impattarono sul 2-2. Prima del novantesimo, una contestata decisione arbitrale sfociò in un'invasione di campo, nella fine anticipata dell'incontro e in una precipitosa fuga dei lucchesi, peraltro agevolata dalla dirigenza viareggina. Informati da uno dei colleghi che aveva assistito all'invasione, i carabinieri arrivarono sul posto quando la calca si era già dispersa. Solo pochi capannelli si erano attardati a discutere, senza particolare animosità. Verso uno di questi si diresse il carabiniere Natale De Carli, intimando agli uomini di disperdersi. Fra questi era Augusto Morganti, orgoglioso tenente dei bersaglieri, amato e benvoluto da tutti in città, che durante la partita aveva agito da guardalinee. De Carli batté un paio di volte la pistola sulla spalla di Morganti, un colpo partì trapassando la mascella dell'ex ufficiale, che perì sulla via per l'ospedale.
Fu il segnale della rivolta: “fare come in Russia” divenne la parola d'ordine. Furono raccolte armi, assaltata la caserma, erette barricate, interrotte le vie di comunicazione, chiusi i pubblici esercizi. Mentre affluivano in città un contingente militare e i rinforzi spediti dal Ministero dell'Interno, la Camera del Lavoro prese in mano le redini dell'insurrezione e, con la mediazione dell'avvocato e parlamentare socialista Luigi Salvatori, intavolò una trattativa con le autorità civili e militari. Pur sotto la minaccia di un bombardamento dal mare e di un bagno di sangue, Salvatori riuscì a far prevalere una soluzione conciliatoria: i rivoltosi avrebbero “riconsegnato” la città dopo il funerale di Morganti, nella giornata del 5 maggio, in cambio i tribunali avrebbero avuto la mano leggera con i capi della rivolta.
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E così avvenne. Il solo caso di una città italiana occupata e gestita in modo incruento dai militanti operai durante il “biennio rosso” si meritò un trafiletto sul New York Times di quei giorni, qualche articolo sulla stampa nazionale e poi finì nell'oblio, senza incidere sui successivi sviluppi dei movimenti socialista e comunista, né come spunto di elaborazione concettuale, né tantomeno come prassi d'azione.
Sul versante sportivo, la storia si concluse senza la squalifica del campo di Villa Rigutti ma con un bando triennale alle stracittadine fra Viareggio e Lucchese, che invece furono invitate a giocare un'amichevole di riappacificazione poco più di un anno dopo.

Paolo Bruschi

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