Il football americano, il Pentagono e le menzogne sulla morte di Pat Tillman

Pochi episodi hanno portato più disonore all'esercito americano delle bugie raccontate sulla morte dell'ex giocatore della NFL, che il 22 aprile 2004 rimase ucciso in Afghanistan


Pat Tillman era una stella del lucrativo campionato professionistico della National Football League (NFL), perno difensivo degli Arizona Cardinals. Lo stile di gioco intenso e ardente gli valse l’inclusione nella squadra ideale del 2000 e una sontuosa proposta contrattuale da parte della franchigia di Phoenix, che sorprendentemente Tillman declinò. Nel maggio 2002, otto mesi dopo l’abbattimento delle Torri Gemelle, decise piuttosto di arruolarsi e fu inserito nel corpo d’élite dei Rangers, insieme al fratello Kevin.

Pat Tillman con la maglia degli Arizona Cardinals

Pat Tillman con la maglia degli Arizona Cardinals

Considerato il suo status di idolo sportivo, il Pentagono cercò di sfruttarne l’afflato patriottico, ma il campione rifiutò di comparire in campagne per la promozione del reclutamento. Poco a poco, la sua storia finì nel dimenticatoio e i media passarono oltre: nessuno si interessò dei periodi di servizio che prestò in Iraq. Dopotutto, un giocatore di football che andava a combattere era quanto di più coerente con la narrazione e la mistica dello sport più rude e popolare degli Stati Uniti.
Se il baseball, definito il national pastime, evoca un perduto passato rurale cui si guarda con languida nostalgia, il football è chiamato America’s Game e rimanda all’ideale nazionalistico a stelle e strisce, oltre a presentare evidenti connessioni simboliche con l’arte militare. Fra le ultime, fu Condoleeza Rice, Consigliera alla Sicurezza Nazionale all’epoca dell’11 settembre, a tracciare un chiaro parallelismo fra il football e la guerra, entrambi caratterizzati dall’esasperato uso della strategia e dall'obiettivo di conquistare spazio e territori. Assai prima di lei, e in tempi assai meno sospetti di uso strumentale dello sport a fini politici, era stato il presidente Theodore Roosevelt - grande fan della palla ovale in versione americana – a raccomandare l’esercizio fisico e la diffusione delle discipline sportive atte a sviluppare qualità virili come il coraggio, la ferma determinazione e la resistenza. A cavallo fra il XIX e XX secolo, Roosevelt auspicava un destino imperiale per la nascente potenza d’oltreoceano, che nella sua visione poteva sorgere soltanto da trionfali imprese belliche. In assenza di un permanente stato di conflitto, suggeriva pertanto di destinare cospicui fondi al finanziamento di programmi atletici scolastici, che giudicava propedeutici al realizzarsi delle smanie di conquista del paese.

Theodore Roosevelt fu presidente dal 1901 al 1909

Theodore Roosevelt fu presidente dal 1901 al 1909

Dall’Iraq, il soldato scelto Tillman fu mandato in Afghanistan, sulle tracce del ricercatissimo Osama Bin Laden. Durante un complicato pattugliamento cui partecipava con il fratello, il 22 aprile 2004, si apprese che il 27enne campione era rimasto ucciso nelle brulle terre di Sperah, dopo uno scontro con i ribelli. La notizia ridestò l'attenzione della Casa Bianca e dei media: la storia del fuoriclasse del football che aveva rinunciato a un ingaggio milionario e aveva sacrificato la propria vita per servire il proprio paese nella guerra al terrore fu servita a pranzo e a cena a milioni di famiglie. Il culmine dell'emozione fu raggiunto il 3 maggio, il giorno del funerale: la televisione diffuse le esequie in diretta nazionale, il defunto fu onorato con postume promozioni e decorazioni al valor militare, una sfilata di deputati e senatori parlò dal palco per elogiare il supremo esempio di generoso eroismo. Buon ultimo, il presidente George W. Bush si gettò nella mischia, commentando che Pat Tillman era diventato un modello per tifosi e patrioti.

Al funerale di Tillman parlò anche il senatore John McCain, che avrebbe conteso la Casa Bianca a Barack Obama nel 2008

Al funerale di Tillman parlò anche il senatore John McCain, che avrebbe conteso la Casa Bianca a Barack Obama nel 2008

Ancora una volta, niente di insolito: la NFL non disdegna di pubblicizzarsi mostrando immagini di soldati che da Kandahar guardano le partite in tv, o di purificare le avide logiche commerciali, le spericolate pratiche mediche per migliorare le prestazioni dei giocatori e il razzismo istituzionalizzato con gli stereotipati omaggi alla bandiera e alle truppe. Né, d'altra parte, il Pentagono si ritrae da questo abbraccio interessato, perché l'associazione con il football fa assomigliare la guerra a un gioco, un'avventura, uno scoppio galvanizzante di adrenalina e il senso di cameratismo e fratellanza che si sprigiona dal rito sportivo di “ogni maledetta domenica” alletta migliaia di giovani e li incolonna verso gli uffici di leva.
C'era solo un problema in questa narrazione, che non era vera. Il ranger Tillman non era caduto in un agguato dei talebani, ma si era beccato tre proiettili in fronte dal fucile di un commilitone: una pattuglia stava attraversando uno stretto canyon quando fu bersagliata dai combattenti afghani; Tillman e i suoi intesero correre in aiuto dei compagni, ma quando dal limitare di un costone si affacciarono sulla scena della sparatoria – complice la luce calante del tramonto e l'eccitazione di qualche recluta inesperta - furono scambiati per nemici e fatti oggetto di una gragnuola di colpi. Con le braccia levate nel disperato tentativo di farsi identificare, pare che le ultime urla della vittima siano state: «Sono il fottuto Pat Tillman!».

Una statua del giocatore si erge oggi nello stadio di Arizona State, l'università frequentata da Tillman

Una statua del giocatore si erge oggi nello stadio di Arizona State, l'università frequentata da Tillman

La verità fu nascosta alla nazione e alla famiglia per settimane. L'edificante versione del valoroso perito in battaglia per mano degli spietati nemici copriva l'artificiosa ricostruzione fin da subito strumentalmente architettata. L'equipaggiamento e la divisa di Tillman erano stati distrutti sul posto, il diario che teneva da anni – contenente aspre critiche alla politica estera di Washington – era stato fatto sparire e gli esiti dell'autopsia effettuata nell'ospedale da campo erano stati falsificati.
L'aprile 2004 si stava rivelando il mese più sanguinoso per le truppe americane in Iraq. La resistenza aveva imposto agli invasori i primi stop tattici a Najaf e Falluja, costringendo gli Stati Uniti a incrementare il corpo di spedizione di 20.000 unità e a prolungare il servizio di altrettanti militi già sul posto. Negli stessi giorni, il Segretario della Difesa Donald Rumsfeld era venuto a sapere che il noto reporter Seymour Hersh stava per rivelare lo scandalo di Abu Ghraib, la prigione nella quale gli USA praticavano la tortura sistematica sui prigionieri iracheni.
Per sviare l'attenzione dell'opinione pubblica, la Casa Bianca e il Pentagono cercarono così di trasformare un eroe degli stadi in un eroe militare, confermando una volta di più l'acutezza del millenario aforisma di Eschilo: «La verità è la prima vittima della guerra».

Paolo Bruschi