Il monumento che si chiama Resistenza: perché è ingiusto non celebrare il 25 aprile (soprattutto in Toscana)

Pensavo di non doverlo scrivere questo articolo. Speravo che non ce ne fosse bisogno, non in Toscana. Non in una regione che più di tutte ha pagato il suo conto di sangue nella lotta di Liberazione, non nella regione dove sono state perpetrate oltre 280 stragi nazifasciste, con circa 4500 morti civili. Gli eccidi di Sant'Anna di Stazzema, del Padule di Fucecchio, di San Terenzo Monti, di Vinca, la strage di Cavriglia: sono solo alcuni luoghi di questa geografia di sangue del territorio toscano, solo alcune delle cicatrici che questa regione porta sulla pelle, sono solo alcuni dei luoghi dove gli stivali dei militari delle SS e dalle loro 'guide' fasciste hanno calpestato il sangue di innocenti.

Eppure uno dei candidato sindaco del capoluogo di questa regione, Ubaldo Bocci, sembra dover fare un ripassino di storia: qualche giorno fa ha dichiarato che non parteciperà alle celebrazioni della Liberazione in quanto "quella data è diventata un appuntamento ideologico e io all'ideologia preferisco la vita vera". E a dire il vero dobbiamo ringraziare il 'realista' Bocci, perché ci ha ricordato oggi quanto sia importante coltivare la memoria, prendersi cura della nostra storia, ricordare ogni giorno da che parte abbiamo scelto di stare. Una missione che svolge celermente l'ANPI da decenni, ma che meriterebbe forse maggiore attenzione e solennità: il 25 aprile non è solo un generico giorno di festa, ma il giorno in cui si definisce la nostra identità di popolo.

Non serve qui ricordare i fatti, i morti, le sofferenze, le speranze mancate, i sogni infranti, le vite spezzate, i bambini e le donne trucidate per rappresaglia che accompagnarono la ritirata dei nazifascisti dalla penisola: per quello ci sono manuali che consigliamo vivamente al candidato sindaco come i saggi di Gianluca Fulvetti (tra tutti 'Zone di guerra, geografie di sangue: l'Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia' e  'Uccidere i civili: le stragi naziste in Toscana') o di Paolo Pezzino ('Sant'Anna di Stazzema. Storia di una strage'), o le scrupolose ricostruzioni di Lutz Klinkhammer ('Stragi naziste in Italia: la guerra contro i civili' e 'L'occupazione tedesca in Italia 1943-1945').

Serve invece ribadire che dietro l'ostentato realismo di Bocci c'è una precisa presa di posizione fortemente ideologica: o Bocci considera la Resistenza come qualcosa di comunista, o il candidato ha scelto di stare dall'altra parte; o una o l'altra.

Sostenere che la Resistenza sia qualcosa di comunista è un errore storico: è indubbio che l'organizzazione e l'apporto quantitativo delle brigate comuniste alla Resistenza fu superiore a qualunque altra, ma il CLN, l'organo italiano a cui fu affidato il governo provvisorio del Nord e l'organizzazione delle bande partigiane, era formato da tutti i partiti italiani ricostituiti, oltre al fatto che esistevano bande di ogni colore, persino filomonarchiche. È indubbio che i partigiani di sinistra furono protagonisti della Resistenza e a loro si deve molto: le bande comuniste erano più numerose, fortemente ideologizzate, più forti militarmente e avevano una struttura organizzativa migliore, questo anche in virtù di una lunga militanza segreta coltivata durante la repressione del Ventennio. Insomma si trattava di una forza presistente che aveva già elaborato ideologicamente e concretamente forme di dissenso e di lotta.

Ma attribuire ai soli comunisti la Resistenza sarebbe uno schiaffo morale a tutti coloro che hanno combattuto. Peraltro vi era nel complesso universo partigiano una miriade di motivazioni ideologiche, private o semplicemente situazionali che non permettono di mettere un'etichetta politica ad ogni banda. La Resistenza fu caratterizzata da una elaborazione maieutica della politica, ossia un insieme di speranze, generiche rivendicazioni, elaborazioni politiche, letture individuali di una ideologia che crearono peraltro problemi anche allo stesso partito comunista che a stento riusciva a contenere le spinte centrifughe delle varie bande e le deviazioni ideologiche. Insomma è profondamente sbagliato considerare quelle bande come milizia organizzata di un partito, che lo faccia Bocci o che lo facciano i comunisti.

Ma soprattutto: se anche la Liberazione fosse stata fatta da comunisti questo al renderebbe meno importante? Non credo. E ci colleghiamo così al secondo punto: dietro la posizione 'carica di realismo' di Bocci c'è forse il risentimento più o meno strumentale verso i valori che quel percorso storico ha affermato? La domanda è lecita e noi ci auguriamo vivamente che la risposta sia negativa.

La Resistenza è un patrimonio storico e simbolico di tutti, il 25 aprile il simbolo di una cesura decisa tra ciò che c'era prima e ciò che c'è stato dopo. Lasciamo alla storia e agli storici le zone d'ombra, i dubbi, le memorie divise, la guerra civile, le promesse non mantenute dopo la fine della guerra e i tumulti dello spirito che animarono quella pagina tragica della nostra storia: il 25 aprile deve essere un grande simbolo di unità e di orgoglio per un popolo che ha deciso di intraprendere un percorso comune fatto di libertà e giustizia.

Quel giorno non fu solo la vittoria sul fascismo e sul nazismo, non fu solo una guerra militare tra due eserciti, ma una guerra morale tra due visioni della storia e dell'uomo, tra chi considerava quest'ultimo una cosa da irreggimentare nelle parate di piazza e chi lo considerava libero. Il 25 aprile fu la fondazione di un nuovo stato, di un nuovo popolo che dichiarò solennemente di fronte alla Costituzione di chiudere nel cassetto il suo passato fascista e di costruire su basi nuove la propria italianità e il proprio patto sociale.

Il triennio 1945-48 fu una cesura storica, una trasformazione genetica che fondò una comunità basata sulla volontaria collaborazione tra uomini liberi ed uguali. Diciamolo quindi senza riserve: essere italiani oggi significa essere orgogliosi di quel patto, essere italiani significa essere figli della Resistenza, chi non è d'accordo trovi un altra parola per definirsi. Chi non riconosce questo percorso non è italiano. E quando a rinnegarlo è un politico, da Bocci al Ministro Salvini, è un'offesa alla nostra storia, ma soprattutto un attacco politico, questo si profondamente ideologico, alla nostra patria e alla nostra comunità, alla costituzione su cui chi governa deve giurare.

La politica è fatta di simboli, si costruisce con essi, anche quando si premura di affermare il no all'ideologia: così accade che non partecipare al 25 aprile come fa il candidato Bocci o il Ministro Salvini è atto profondamente simbolico. Significa neutralizzare la costituzione e sminuirla a mero testo giuridico, non politico, significa rinnegarne i valori, significa soprattutto insinuare velatamente un attacco ai valori che essa promuove, significa infine ammiccare a chi i valori della Resistenza li vuole rinnegare. Questa operazione è il colpettino alla schiena che si da al bimbo che deve fare il rigurgitino (fascista), è atto profondamente ideologico che nasconde dietro l'abito buono dell'anticomunismo e del "ci sono cose più importanti" un attacco diretto al nostro modello di democrazia.

Così mentre la politica 'gioca' con questi concetti per sopperire alla propria pochezza culturale, mentre si sgretola sotto il peso del tempo la memoria viva di quel che è stato il fascismo, mentre il benessere raggiunto grazie anche a quel 25 aprile acceca i giovani che si approcciano ad un fascismo epurato dalle sue terribili fattezze, vogliamo credere ancora alle parole di Calamandrei che dopo la scarcerazione di Kesselring che ebbe l'indecenza di dire che a lui in Italia si sarebbe dovuto fare un monumento, scrisse:

Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA

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