Castello di Coiano - Rosato 2018: l’anima delicata del Sangiovese

La coltivazione del Sangiovese in Toscana, come abbiamo già visto, ha una storia antichissima, e ciò è dovuto alla sua capacità di adattarsi alle condizioni pedoclimatiche (del terreno, dell'umidità e di altri fattori, NdR) di molte zone della nostra Regione, ma anche alla sua considerevole versatilità: è infatti alla base di tantissimi rossi, sia di pronta beva che di lungo affinamento, come tutti sappiamo, ma anche di piacevoli rosati e addirittura di alcuni bianchi. Austero e granitico in molti casi, più dolce e vivace in altri, riesce anche, a seconda del terroir di origine e dell’interpretazione che ne viene fatta, ad esprimere notevole finezza e delicatezza. Ne è un esempio il vino di cui scrivo oggi, il Rosato IGT Toscana 2018 di Castello di Coiano.

Non avevo ancora scritto di vini rosati, sia perché rappresentano una produzione di nicchia, specialmente nel panorama enoico toscano, sia perché spesso il livello qualitativo di questa tipologia di vini, nel nostro territorio, non è propriamente eccelso. Il rosato di Castello di Coiano, nonostante non sia il prodotto di punta dell’azienda, rappresenta invece una felice eccezione; dotato di personalità e finezza, mi ha colpito sin da quando l’ho assaggiato la prima volta al Vinitaly il mese scorso.

Ci troviamo in Valdelsa, lungo la Via Francigena che qui, tra Castelfiorentino e San Miniato, si snoda sinuosa sulle morbide pendici collinari, regalando scorci di paesaggio che ricordano certi dipinti impressionisti.

Il Castello, che dopo varie trasformazioni effettuate nel corso dei secoli ha oggi l’aspetto di una villa padronale, ha una storia antica quasi quanto quella del Sangiovese. Le prime notizie documentate della sua esistenza risalgono all’alto medioevo, attorno all’anno mille, mentre l’attività agricola, e in particolar modo la coltivazione della vite e dell’olivo, è attestata con certezza a partire dalla fine del XIV secolo e, pare, come riportato da documenti giunti fino ai giorni nostri, che la produzione di vino fosse già all’epoca di notevole qualità.

La proprietà del castello ha visto avvicendarsi nel corso della storia numerose famiglie nobili fiorentine e, sul finire dell’800, sotto l’amministrazione della contessa Carlotta Masetti l’attività agricola è soggetta ad un nuovo impulso, diventando un modello da seguire per tutti gli imprenditori agricoli del tempo. È a questo periodo che risale la costruzione delle cantine che, tuttora esistenti, ospitano la sezione di affinamento dei vini.

Oggi la tenuta conta 23 ettari di vigneto, gran parte dei quali impiantati a Sangiovese, a cui se ne aggiungono altri 50, localizzati nei comuni di Vinci e Cerreto Guidi.

È proprio da una vigna di Sangiovese, 2 ettari poco distanti dal nucleo centrale della tenuta, mi spiega Paolo Saltarelli, responsabile di cantina, mentre me la indica dal terrazzo panoramico di fronte alla villa, che provengono le uve con le quali viene prodotto il Rosato. Terreno dalla morbida pendenza, rivolto a Sud, con suolo di natura argillosa nello strato superficiale e tufacea appena sotto.

Le uve vengono raccolte manualmente al raggiungimento della maturazione organolettica ottimale, in modo da conferire al vino freschezza aromatica e gustativa.

A differenza di come avveniva in passato in gran parte della Toscana, ma spesso ancora oggi, in cui il vino rosato era di solito un sottoprodotto della vinificazione dei rossi (si toglieva una parte di liquido ai mosti in macerazione con le bucce, in modo che questi ultimi prendessero più colore, e col mosto rimosso si produceva un vino rosato, di solito poco fine e molto semplice) al Castello di Coiano la vinificazione è mirata all’ottenimento di un prodotto fresco, fine e delicato. Le uve diraspate vengono raffreddate e pressate in maniera estremamente soffice, per estrarne la polpa

e una piccola frazione di materia colorante. Il liquido così ottenuto è illimpidito, sempre a freddo, e fatto fermentare alla temperatura costante di 15°C in serbatoi in acciaio. Terminati gli zuccheri il vino riposa per alcuni mesi assieme alle proprie fecce fini, evitando accuratamente sbalzi di temperatura e il contatto con l’aria che potrebbe causare l’ossidazione del colore e delle componenti aromatiche, e senza compiere la fermentazione malolattica che ne comprometterebbe la freschezza.

Nonostante il 2018 sia la prima annata prodotta, mi sono trovato davanti un vino che nasce da una precisa idea e con una precisa identità.

Nel bicchiere è limpido e brillante, di un rosa antico tenue dalle screziature ramate. È al naso che esprime il meglio, con delicati profumi floreali di ciclamino e rosa, una leggera nota erbacea, appena accennata, aromi fruttati freschi, di mela rossa principalmente, ma anche lampone e melagrana, accompagnati da una nota minerale vivace, quasi salmastra, molto piacevole, dovuta probabilmente al tufo presente nel sottosuolo. In bocca è dinamico, armonico, con un’acidità vivida e tannini appena percettibili; si ripresentano gli aromi fruttati e il fresco tocco erbaceo, a cui si unisce un accenno di frutta secca. Una spiccata sapidità introduce e accompagna il finale, lungo e pulito.

Come ho già detto, mi ha colpito da subito il Rosato di Castello di Coiano perché si scosta da tutti i luoghi comuni legati a questa tipologia di vini. Delicato ma deciso, di quella sincerità schietta che è propria del Sangiovese, non fa il ruffiano, non cerca di incantare i recettori olfattivi con profumi dolci ed esuberanti, spesso stucchevoli, di rosa e fragola. Ha una personalità particolare e definita, che non esprime alzando la voce o mostrando i muscoli, ma con delicate pennellate di acquerello.

www.castellodicoiano.it

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