La Mafia in Toscana

“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.”

Paolo Borsellino

 

È stato bloccato sulla Siena-Bettolle il presunto killer che sparò a Napoli una decina di giorni fa ferendo la piccola Noemi ed un uomo, Salvatore Nurcaro, il suo vero obiettivo. Il tentato omicidio è maturato in pieno contesto camorristico. Armando Del Re è stato catturato in provincia di Siena il 10 di maggio, il fratello Antonio invece, è stato fermato nell'hinterland napoletano: ha dato supporto logistico ad Armando. E se un camorrista per la sua latitanza sceglie la Toscana, non lo fa per caso, anzi. La mafia quando organizza qualcosa lo fa nei minimi dettagli, con dovizia di particolari. Ed allora basti pensare al fatto che il porto di Livorno dopo quello di Gioia Tauro è diventato il primo in Italia per sequestri di cocaina, mentre la provincia di Prato è la prima per reati di riciclaggio con livelli venti volte superiori alla media nazionale. Solo così, riusciamo a capire come la scelta logistica non sia stata casuale.

Certo è, che quando pensiamo alla mafia, non ci verrebbe in mente di associarla alla Toscana. Ma sappiamo che l’apparenza inganna, spesso e volentieri. Infatti, a scriverlo nero su bianco è il secondo rapporto sui fenomeni di criminalità organizzata e corruzione presentato a settembre 2018, curato dalla Scuola Normale di Pisa su commissione della Regione Toscana. Escludendo Sicilia, Campania e Calabria, secondo le statistiche ufficiali, negli ultimi 3 anni la Toscana è diventata la prima regione in Italia per numero di arresti e denunce con l’aggravante del metodo mafioso. È una statistica inusuale, sembra quasi impossibile associarla alla nostra regione. Questo perché, la si pensava immune da qualunque tipo di infiltrazione mafiosa. Ma la penetrazione della criminalità organizzata in Toscana non avviene secondo il canone classico: gli studiosi mettono in evidenza come le inchieste giudiziarie facciano emergere un’infiltrazione economica dei clan nell'economia regionale.

Secondo i dati della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) sono 78 i clan che hanno sviluppato attività economiche nella nostra regione, di cui il 48% fa riferimento alla ‘ndrangheta calabrese ed il 41% alla camorra campana. Il loro modus operandi si basa da un lato, sul fenomeno della corruzione “che tende a farsi sistemica” e dall'altro, sul metodo mafioso che trova espressione in un repertorio inquietante di messaggi, linguaggi, segnali, atteggiamenti, tipici di queste organizzazioni. Ciò, sottolineano gli studiosi, è possibile solo grazie all'opportunità degli attori criminali “di sedersi attorno a tavoli diversi con esponenti dell’amministrazione, dell’imprenditoria, per fare affari e stringere accordi”.

Nel contesto toscano le organizzazioni mafiose giocano di sponda, cercano e trovano interlocutori come quello dei mercati illegali tradizionali, con la pubblica amministrazione ed il mondo dell’impresa con cui fare affari. Il dato più preoccupante è quello relativo alle denunce ed agli arresti con l’aggravante mafioso, che negli ultimi 3 anni hanno fatto diventare la Toscana come la regione d’Italia più colpita dalle inchieste della Magistratura, dopo Sicilia, Campania e Calabria. I settori più vulnerabili rimangono quelli degli appalti per le opere pubbliche o quelli relativi al sistema sanitario toscano. È vero che nella nostra regione, a differenza del Sud, dove la mafia è da sempre ben radicata all'interno del territorio e del tessuto sociale, è presente un insieme di anticorpi più efficiente, ma allo stesso tempo, le organizzazioni mafiose si adattano al contesto toscano modificando il proprio modo di agire, plasmandosi alle nostre realtà, ed è su questo che bisogna porre la massima attenzione.

Giulia Meozzi

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