Elezioni, gli errori del centrodestra dopo il mancato sfondamento in Toscana

(foto gonews.it)

Quello del centrodestra sembrava un patto di sangue, ma alla fine si è rivelato un abbraccio tra rivali diventati migliori amici solo dopo qualche bicchiere di troppo. Il 'vento del cambiamento' ha riempito i calici e tra un brindisi e l'altro è nata la convinzione di poter tentare un attacco congiunto al fortino rosso della Toscana. È bastata però una 'non-vittoria' perché la sbronza passasse e il palazzo del centrodestra iniziasse a crollare mostrando come quell'alleanza sia fragile: così a pochi giorni dalle elezioni il centrodestra si lancia in accuse a vicenda per cercare un capo espiatorio che spieghi come il successo delle europee si sia trasformato in un amaro coitus interruptus.

Per la portavoce Toscana della Lega Susanna Ceccardi sembra che parte delle sconfitte sia la conseguenza di campagne elettorali "moderate", in cui "si è battuto poco il tema della sicurezza", questo quello che è accaduto ad esempio a Firenze. La critica di Ceccardi, insomma, sarebbe quella di aver mantenuto un tono troppo istituzionale, troppo pacato, lontano dalle provocazioni e dalle arringhe del salvinismo ruspante. Dall'altra parte, invece, FdI e FI criticano la Lega, colpevole di essere crollata a livello locale a causa delle scelte dei candidati su cui la Lega avrebbe avuto maggiore diritto di parola in virtù del peso politico a livello nazionale.

Prima di fare un po' di chiarezza partiamo dai numeri: la Lega è passata dal 17% delle Politiche 2018 al 31% delle Europee 2019, stabilendosi come primo partito in 109 comuni su 189 andati al voto, ma in 74 di questi il centrosinistra si è affermato con i suoi sindaci. Fucecchio è esemplare: alle europee la Lega è volata al 37%, alle amministrative è scesa all'11% con il Pd che dal 32% è passata al 44%. Una cosa simile è accaduta a Capannori. In totale il centrosinistra, coadiuvato da liste civiche e comunque in lieve calo, ha conquistato 130 sindaci, solo 26 invece quelli del centrodestra unito. Uno scenario fatto di numeri contraddittori che è già stato archiviato sui tavoli dei politologi che faranno le ore piccole per dare una spiegazione di quello che a tutti gli effetti appare un 'travaso di voti' dalla destra alla sinistra.

Per leggere questi risultati serve fare un passo indietro: fin da ottobre 2017 i vertici regionali del centrodestra si sono seduti ad un tavolo per cercare un accordo a livello regionale. Questo non è un dettaglio da poco, anche perché questa alleanza non esiste a livello nazionale. I vertici hanno praticamente serrato le linee di tutta l'area proponendo candidati unitari in tutti i comuni, e così è stato (eccetto alcuni casi isolati legati più a dinamiche locali). Il patto tra gentiluomini aveva un solo obiettivo: mettere più bandierine possibili, far paura alla sinistra e prendersi la Regione rossa alle elezioni del 2020. Bisogna precisare che un accordo a tavolino tra vertici regionali per le Amministrative è qualcosa di anomalo, qualcosa che appartiene alla ormai sorpassata 'democrazia dei partiti' che ha contraddistinto la I Repubblica: la sua eccezionalità sta proprio a indicare quanto il centrodestra ci tenesse ad arrivare all'appuntamento con gli stendardi del vincitore.

Arriviamo così ai risultati: vittoria o sconfitta? Intanto distinguiamo i giocatori della partita: il centrodestra unito, infatti, ha più anime: la nuova destra salviniana, la vecchia destra berlusconiana e quella meloniana. Se possiamo parlare di vittoria della prima, non possiamo dire lo stesso delle altre due (FI è calata di circa il 4% rispetto alle Europee, stabile invece attorno al 4% FdI). La Lega continua a raccogliere consensi e si è trasformata negli ultimi anni da outsider del centrodestra a indiscusso leader dell'area, grazie anche alla capacità di attrarre una vasta tipologia di elettori facendo perno su temi, come l'immigrazione o la sicurezza, che sono molto più emotivi che ideologicamente connotati. Non si tratta solo di un boom elettorale, ma di una penetrazione culturale che sta sbiadendo a ritmi velocissimi l'egemonia della sinistra in Toscana, mentre la 'vecchia destra' continua invece ad attrarre solo il suo ristretto elettorato 'di fiducia': insomma a vincere in Toscana è stato il salvinismo non il centrodestra unito. Dal punto di vista del Carroccio, infatti, nessuno può mettere in dubbio che con o senza sindaci sia stato un successo, gli altri, invece, hanno fatto più o meno da comparsa. La Lega ha messo piede per la prima volta in molti consigli comunali, ha acquistato consensi mentre il PD calava, infine alla prova del voto più politicizzato delle Europee ha fatto capire che ha un suo 'pubblico' che è attratto dal partito. Chi da sinistra invoca la vittoria in base al risultato delle Amministrative lo fa per esorcizzare quella che ad oggi sembra una valanga 'verde' che si sta per abbattere da destra sulla politica toscana. Ma se così è cosa è successo? Come spiegare il voto 'disgiunto'?

Arriviamo all'analisi politica, c'è infatti una contraddizione che ha determinato il risultato appena visto: mentre la Lega è ideologicamente il partito che incassa più successi, la sua ramificazione sul territorio e la sua classe dirigente, sono ancora molto acerbe. A fronte di una struttura politica di FdI e Fi abbastanza consolidata, la Lega partiva da più lontano. In Toscana il Carroccio ha pagato il conto di un boom di consensi che non ha trovato una classe dirigente valida in grado di contenerne le forze. A perdere, quindi, sarebbero stati i candidati, a fonte di un PD che da anni governa, mantiene la stessa classe dirigente e consolida i rapporti della società civile con essa. La stessa Ceccardi ammette che "se soffriamo è perché il Pd è più radicato. Il 90% dei nostri candidati finora non aveva mai fatto politica". Peraltro i Dem da tempo si stanno spostando verso il centro, raccogliendo anche voti da un elettorato moderato e di centrodestra.

I candidati del centrodestra sono stati, per forza di cose, o militanti della 'vecchia destra' spesso ritirati fuori dall'armadio della politica e con percentuali alle spalle molto basse, oppure nuovi esponenti di una Lega che però non ha avuto il tempo e il modo di selezionare personalità con esperienza, carisma e appeal elettorale: troppo veloce la crescita di questi anni. Ogni candidato, infine, è stato il risultato di compromessi fatti per rispettare i rapporti di forza della coalizione.  La bandiera, insomma, non è stata sufficiente, e sembra si sia scelto la continuità invece che il rischio (in un territorio dove peraltro la crisi si è fatta sentire meno che altrove). Ed è chiaro che a livello locale non basta essere d'accordo con "è finita la pacchia" o "basta agli sbarchi": conta la persona, la conoscenza sul territorio, la fiducia e le capacità che quella persona trasmette alla cittadinanza, ma anche quello che quel sindaco può concedere alle varie parti sociali e qui è chiaro che a partire avvantaggiate sono le Amministrazioni uscenti.

La 'debolezza' dei candidati diventa così la sciabola con cui i litiganti si tirano bordate mostrando come l'alleanza toscana sia molto più fragile di quel che sembrava. Dopotutto a livello nazionale il centrodestra non ha 'legami di sangue' o 'logiche di partito' da far valere a livello locale e le vittorie sembrano l'unico vero metro di giudizio per decidere se stare insieme o no. Così Donzelli (FdI) attacca direttamente il Carroccio spiegando che "abbiamo vinto tutto finora perché nei Comuni non si pensava a piazzare bandierine ma a scegliere i candidati migliori. Questa era la strategia. Invece la Ceccardi ha pensato di far prevalere il peso del voto nazionale e questi sono i risultati. È arrivata lei, ha detto 'è finita l'era Verdini. Ghe pense mi' ed eccoci qua". Gli fa eco Mugnai: "Serve un percorso per selezionare un candidato. E una classe dirigente preparata. Forza Italia ce l'ha. Guardate Matteo Maestrini a Tresana, a Massa Carrara, riconfermato col 79%. O Marco Ermini a Castiglion Fibocchi. Ha fatto il consigliere per anni. O anche il leghista Baroncini a Montecatini. Non era un dilettante. Seppur giovane, ha alle spalle anni di consiglio comunale, viene dal Pdl. L'errore più grande? Forse c'è chi si è convinto di poter vincere facile in Toscana, forte dell'onda di Salvini. In Toscana nulla è mai scontato".  Il punto innegabile è che i candidati proposti non sono riusciti ad attrarre la fiducia dell'elettorato nonostante quello stesso elettorato fosse propenso a lasciarsi affascinare dall'ideologia leghista, sta tutta qui la sconfitta politica.

Insomma qualcosa non ha funzionato, ma la penetrazione culturale e politica della destra in Toscana non può essere sottovalutata da una sinistra in calo che non riesce più ad offrire perni ideologici attorno al quale costruire progetti di governo. Eppure le aspettative nel centrodestra, forse, erano troppo alte e adesso il castello di sabbia di quell'alleanza rischia di essere scosso dalle fondamenta. A provocare il terremoto sono i rapporti di forza non risolti tra una Lega che acquista consensi, ma priva di classe dirigente, e i 'coinquilini' con una struttura politica più forte, ma un appeal elettorale in calo. La destra toscana, quindi, è alle prese con una crisi di identità, uno sconquassamento della sua natura contesa tra salvinismo, destra istituzionale e berlusconismo. Risolvere questo tripolarismo è una condizione necessaria, poi servirà creare e selezionare una classe dirigente in grado di essere un'alternativa credibile ai sindaci del PD. Ma mentre Mallegni e Ceccardi già sgomitano per contendersi la candidatura a Governatore toscano e i partiti prima amici si scaricano la patata bollente della non-vittoria del 26 maggio, Enrico Rossi è tornato nel PD facendo appello all'Unità, una richiesta di alleanza a sinistra che crediamo possa trovare consensi come ultima chance per non far cambiare casacca alla Toscana. Un vento di destra soffia anche qui, ma la sinistra spera che questa volta non ci sia nessun brindisi e nessun patto.

Giovanni Mennillo



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