Sardine senza partiti e senza mare, sintomo di una democrazia malata. La sinistra cosa fa?

Le 'sardine' ieri hanno riempito anche molte piazze della Toscana diventate per un giorno dei grossi 'acquari'. Le migliaia di persone scese in strada sono infatti pesci senza mare, vagano alla ricerca di habitat in cui vivere, si ammassano nella frenetica ricerca collettiva di una casa che non c'è. Nelle piazza si rivendica con orgoglio la non-appartenenza politica quasi fosse una stella al merito da portare sulla divisa della propria militanza, ma questo paventato merito è solo il sintomo di una democrazia malata. Quando la rappresentanza non riesce ad essere rappresentante di fette tanto ampie di popolazione, a rischio c'è la salute stessa della democrazia. È una sconfitta per tutti, non certo un merito.

Eppure quella delle sardine non è una mera sfilata, il movimento rivendica precisi indirizzi politici. In primis quello di dire basta ad una destra che negli ultimi anni ha preso le distanze dal lazzo della commedia berlusconiana, si è scrollata di dosso l'imbarazzo riguardo alcuni temi etico-sociali che caratterizzano una certa destra estrema, ha strizzato l'occhiolino allo sdoganamento di idee aberranti tornati in auge nel marasma di una radicale crisi politica e culturale della nostra democrazia. Ma le sardine sono un epifenomeno di questo marasma non un antidoto, sono generiche forze centrifughe del sistema: è un "fenomeno democratico" apprezzabile, ma dobbiamo avere il coraggio di dire che non sono politica. Si dice 'No' a Salvini, al razzismo, al populismo, ma sembra che si voglia dire anche altro e non si può, perché la democrazia è qualcosa di più complicato. Ne esce così un prodotto asettico, non schierato, politicamente corretto a priori, ingenuamente idealista, denso di significato etico-culturale, ma politicamente senza obiettivi. Movimenti così nascono e muoiono ogni giorno, sono lo scalpitio di orfani politici che rivendicano il loro diritto ad essere rappresentati. Sono il sintomo di una democrazia lacerata da una ferita profonda tra popolo e palazzo.

Le nostre democrazie moderne non sono ancora riuscite a generare forme alternative alla democrazia rappresentativa e se i partiti chiamati a fare da garante della sovranità popolare abdicano a quel ruolo, non si giunge magicamente alla democrazia diretta, ma all'antipolitica, o a qualcosa di peggio. Ma sia chiaro, non è colpa delle sardine: possibile che nessuna forza politica sappia raccogliere le energie di quella piazza? Possibile che un movimento che ha obiettivi e una cultura tanto omogeneamente schierata finisca per non trovare un partito che lo rappresenti?

Diciamolo senza troppe remore: che un movimento così esteso e coinvolgente si vergogni di mostrare simboli è una grossa sconfitta prima di tutto della sinistra. Una sinistra che da decenni ha scelto di rinnegare il proprio passato, di operare un mutamento genetico che sotto le mentite spoglie del progressismo ha decretato la perdita di valori politici, l'accodamento agli establishment neoliberisti e soprattutto lo strappo con la sua base sociale. Una sinistra che guarda sempre più al centro e che non risponde alle tirate di giacca che vengono dai suoi 'figli naturali'. E non può essere sufficiente l'ostinata cantilena dell'antifascismo, la quale dimostra solo la sua crisi d'identità, la necessità di trovare delle giustificazioni al proprio esistere e di riallacciare (su base anacronistica) il rapporto storico con il suo elettorato. E così mentre si consumano divisioni e si guarda sempre più al centro nella presunzione che quella base sociale sia improvvisamente scomparsa o semplicemente che non sia elettoralmente utile, questa rivendica di essere viva e dinamica, porta avanti la sua battaglia ideologica senza il consiglio non richiesto dei partiti, allestisce piazze piene che per quegli stessi partiti sono ormai un miraggio. Quello delle sardine è una fucina politica entrata a regime, e la sinistra ha il dovere di non restare a guardare.

Quel 'No' ai partiti non può farci sentire orgogliosi, è un pugnale al cuore della democrazia, è l'epifenomeno della sua radicale crisi. Quel 'No' ai simboli, rivendicato con forza, diventa l'unica via per uscire dall'imbarazzo di non avere un mare in cui sentirsi politicamente a casa.

Giovanni Mennillo

Tutte le notizie di GoBlog