Le case operaie che cambiarono l'urbanistica di Ponte a Egola

Un secolo fa Ponte a Egola avrebbe potuto avere un diverso assetto urbanistico.

La massiccia espansione delle concerie verificatasi durante gli anni del primo conflitto, si contrasse bruscamente al cessare delle ostilità e fu crisi per sovraproduzione. Trecento operai persero il lavoro a S. Croce e centoventi nel comune di San Miniato. Come avvenne in tutta l'Italia centro-nord, anche nella nostra zona i contrasti sociali si inasprirono. Alla incombente miseria si sommarono le recriminazioni sulla "vittoria mutilata", l'amarezza degli ex-combattenti che tornati dal fronte trovarono un clima molto spesso ostile. La lotta politica assunse toni incandescenti e i contrasti di classe divennero feroci.

Nel 1919, a San Miniato, ci fu una fioritura di periodici: da "La Vedetta", che fornì un massiccio appoggio al Partito Popolare di Don Sturzo, e l"Araldo", portavoce della Diocesi, a "La Rocca", di chiaro indirizzo socialista, alla "Riscossa", di stampo futur-fascista e portavoce degli interessi degli agrari, che appoggiava l'Unione Pace e Lavoro.

A questi si aggiunse "La Tramontana" che mirava a porsi in una posizione di equidistanza fra "La Rocca" e "La Riscossa", ma che indirizzava le sue freddure più che altro contro "La Rocca". Un' iniziativa di notevole importanza sociale e urbanistica per il paese, si concretizzò con la costituzione di una Società anonima cooperativa per la costruzione delle case operaie. Il 12 aprile 1919 fu eletto il Consiglio direttivo di cui fu presidente Paolo Brunelli e che comprendeva fra i consiglieri: Ezio Veracini, Michele Valori, Aladingo Dani, Corrado Parchi. Cassiere era Alabindo Vallini, e sindaci revisori: Primo Matteucci e Vincenzo Marianelli. Probiviri erano Luigi Cei, Annibale Baldini, Alfredo Corti, Enrico Valori. Segretario Vivarello Mazzantini e consigliere legale il Cav. Carlo Alberto Conti.

In primo luogo si doveva scegliere il terreno su cui costruire e l'impresa trovò ostacoli di ogni genere. L'opposizione veniva in primo luogo dall'Opera di S. Giovanni di Dio che “non voleva scomodarsi, in conclusione, a perdere una famiglia colonica che altrimenti dovrebbe essere licenziata a causa della diminuzione di terreno coltivabile.”

La questione delle case operaie assunse, oltre l'aspetto economico, precise connotazioni politiche per gli aspri contrasti di classe. Si legge in una relazione della Commissione per le Case Operaie “Dal punto di vista dei provvedimenti governativi degli ultimi tempi, il rifiuto apparisce per sotto una luce ben diversa, e diviene quel che è: un atto di sfida contro una popolazione di un intero paese. Siamo in verità in momenti eccezionali, ed eccezionali sono i provvedimenti che il Governo prende per fronteggiare la situazione. Fra i gravissimi problemi che incombono al presente, due ve ne sono particolarmente importanti: la questione della abitazione e la lotta contro la disoccupazione…”

Il contenzioso si trascinò a lungo ed infine le case furono costruite nell'attuale piazza Garibaldi e via Piave, troncando sul nascere un piano regolatore avveniristico, che prevedeva addirittura un nuovo ponte sull'Egola e due linee di scorrimento parallele alla Tosco-romagnola e alla via di Giuncheto.

Valerio Vallini

Tutte le notizie di GoBlog