Inchiesta rifiuti Toscana, sistema o 'mele marce'?

È stato un risveglio amaro ieri per la Toscana. Dall'annuncio in mattinata dell'operazione Keu, sono iniziati a filtrare nomi e dettagli, fili di una maglia di relazioni illecite tra imprenditoria, mafia e politica che la Toscana nascondeva in qualche cassetto del suo armadio.

Un terremoto giudiziario che è anche un terremoto socio-politico, mette a rischio non solo una classe politica ed economica, ma la comunità intera. L'aspetto giudiziario è materia per i magistrati, e soprattutto nelle prime fasi dell'inchiesta serve prudenza e attenzione nel rispetto di tutti: alimentare indignazione e odio verso qualcuno trasformerebbe il giornalismo nel bancone di un tribunale popolare, non credo sia il nostro compito.

Ma qualcosa va pur detto. "La magistratura farà il suo corso" diventa in questi casi un refrain odioso, una prudenza e accortezza quasi non dovuta ad una cricca di potere che usa le istituzioni e il proprio potere economico per farsi letteralmente i fatti suoi nell’accondiscendenza o quantomeno nella 'fessaggine' di chi invece dovrebbe essere lì per evitare tutto questo.

Sì, "la magistratura farà il suo corso", qualcuno degli indagati sarà condannato, qualcuno la farà franca, qualcuno sarà giustamente scagionato dalle accuse, ma quello che resta sono le macerie di un intero tessuto sociale che non possono essere spazzate via da qualche condanna. I protagonisti sono solo nomi e cognomi di un canovaccio malavitoso che si è infiltrato ben oltre la dialettica tra qualche mela marcia. La politica è chiamata ad una riflessione.

Un canovaccio che tocca imprenditoria, amministrazione locale, politica e istituzioni. Le responsabilità saranno accertate, ma nel guardare le carte dell’inchiesta resta uno stupore che si mischia al sospettoso dubbio che il marcio sia arrivato dal frutto all'albero intero.

Nelle carte si parla di finanziamenti illeciti utilizzati per la campagna politica di un importante esponente locale del partito: 2-3mila euro come 'contributo' alla campagna elettorale, tanto poco valgono oggi le nostre istituzioni.

Imprenditori che si permettono di indicare al presidente della Regione un "loro uomo" da mettere a capo del gabinetto della presidenza e la nomina 'puntuale' il giorno dopo l'elezione, perché un politico le promesse le deve rispettare sempre.

Quello stesso uomo che allegramente 'occupa' i vertici di una istituzione per fare da tornello delle pressioni degli imprenditori, pressando per autorizzazioni e passepartout firmati dalla Regione Toscana.

Amministratori locali che assecondano i diktat degli imprenditori interpretando la accountability (rendere conto di legittime richieste da parte di una categoria sociale) con il 'bullismo politico', usando il proprio ruolo istituzionale e politico per fare pressioni a tutti i livelli.

E infine quell'emendamento ad hoc per favorire alcune aziende copia-incollato e passato dal basso sotto il naso di un intero partito politico che governa e dell'intero sistema amministrativo regionale. Un emendamento ad consortium approdato e votato dalla maggiore assemblea deliberativa della Regione senza che nessuno si accorgesse di niente, per poi essere impugnato dal Governo e dichiarato incostituzionale dalla Consulta: un'istituzione in ridicolo. Al momento tutti i reati vanno dimostrati e chi non è coinvolto nell'inchiesta è doveroso lasciarlo fuori, ma rimane un legittimo sospetto che un sistema strutturato di tal fatta non abbia coinvolto una cerchia più ampia di soggetti politico-amministrativi, o che almeno ne fossero a conoscenza. In ogni caso non lo sarà a livello penale, ma la 'fessaggine' è quantomeno una 'colpa politica' grave.

"La magistratura farà il suo corso", ma nonostante il rumoroso silenzio di imbarazzo degli ultimi due presidenti di Regione sull'inchiesta, e il dignitoso silenzio di gran parte delle opposizioni che sanno di essere fragili di fronte ad un sistema e ad un bacino di voti che non ci si vuole inimicare, resta la sensazione che quella che si sta consumando non sia solo un'inchiesta giudiziaria, ma una crisi politica, istituzionale e culturale di un’intera comunità.

Uno scandalo che certamente alimenta sfiducia verso un partito che governa nelle sue varie forme da sempre, alimenta sfiducia verso il tessuto imprenditoriale, e soprattutto verso le istituzioni. Si amplia il divario tra le persone e una politica ipertrofica che usa le istituzioni a suo piacimento, si alimenta quella cultura dell'illegalità che distrugge il tessuto comunitario. Ci siamo già passati. Vedremo quanto i tentacoli malavitosi abbiano trovato pertugi per occupare le istituzioni, ma tanto più grande sarà l'inchiesta tanto più sarà evidente il fallimento di una comunità. Non guardare l'aspetto sistemico di questo scandalo è miope, ignorarlo tirando fuori le solite baggianate sulla mafia cattiva, il capitalismo-potentato o delle 'mele marce' è reticenza.

La permeabilità della Toscana alle mafie è nota da tempo, come dimostrano tutti gli ultimi rapporti sul tema. In Regione c'è una commissione antimafia, ma resta difficile capire cosa faccia e se abbia un qualche potere. Intanto però ieri sono emersi i cospicui rapporti con la politica e le ramificazioni istituzionali.

Come siamo arrivati a questo? Come uscirne? La domanda è senza risposta. Ma credo che si possa fare una riflessione politica, non ho una toga nell'armadio e questo è il mio lavoro: questa inchiesta dimostra la totale incapacità dei partiti di gestire le pressioni di grandi potentati locali, l'incapacità della struttura-partito, ormai ridotta ad un comitato elettorale gravido di promesse a buon mercato da utilizzare per il leader di turno, di difendersi senza farsi scalfire dalla promessa di qualche voto in più.

Ebbene l'inchiesta Kau oltre a evidenziare fenomeni di corruzione di singoli, mostra l’accondiscenda della politica a richieste per fine elettorale. È l'effetto di partiti non radicati, senza base popolare solida, succubi dei potentati e delle cricche locali. È un sintomo di una debolezza della politica che non si risolve con qualche condanna. Partiti incapace di farsi Stato, e come nella più classica delle definizioni la mafia è uno Stato nello Stato, ne prende il posto dove l'altro è debole.

Questa riflessione può apparire pura speculazione politologica, ma ad oggi mentre a "magistratura farà il suo corso" resta solo l'angoscia di chi cerca spiegazioni ad uno dei più grandi scandali politici della Toscana. Ieri è stato un risveglio amaro, oggi la nostra Regione si è scoperta più fragile e disgregata.

Giovanni Mennillo

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