Giorno del Ricordo, dalla Toscana l'impegno per un servizio civile della memoria

Seduta solenne in Consiglio regionale per non dimenticare i massacri delle foibe e l'esodo giuliano dalmata. Mazzeo: "Definiremo una legge che permetta ai ragazzi di svolgere un servizio civile della memoria". Giani: "Grazie all'Europa si stanno rimarginando le ferite"


“Insieme al 27 gennaio, questo è un momento importante Sono due Consigli solenni, quello del 27 gennaio e quello odierno, che vogliamo fare perché la Toscana è sempre stata una terra in grado di accogliere e che, negli anni, ha svolto un ruolo centrale nella democrazia di questo Paese”. Dopo aver salutato le autorità civili e militari e le istituzioni presenti in Aula, il presidente del Consiglio regionale Antonio Mazzeo apre così la seduta solenne, a palazzo del Pegaso, dedicata al Giorno del Ricordo, per non dimenticare uno dei periodi più bui dell’immediato dopoguerra: i massacri delle foibe e l’esodo giuliano dalmata.

“Purtroppo – continua Mazzeo - il ‘900 sarà ricordato come un secolo di grandi atrocità, delle guerre, dell’odio razziale, degli stermini di massa. La shoah e le foibe rappresentano episodi di inaudita violenza, il prodotto della disumanità, delle guerre e di scelte che non sono il frutto del caso” e “siamo qui per non voltarsi dall’altra parte, ma per ricordare”. E poi prosegue sottolineando che “la ferocia che si genera laddove le diversità, le ideologie, le differenze e appartenenze etniche, sociali e culturali, diventa discrimine, non solo per giudicare, ma anche per condannare senza appello la fine atroce cui furono destinati migliaia di uomini e di donne”.

Mazzeo fa proprie le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Le sofferenze, i lutti, lo sradicamento, l’esodo a cui furono costrette decini di migliaia di famiglie sono iscritti con segno indelebile nella storia della tragedia della Seconda guerra mondiale”; e ancora: “i crimini contro l’umanità scatenati in quel conflitto non si esaurirono con la liberazione dal nazifascismo, ma proseguirono nella persecuzione e nelle violenze perpetrate da un altro regime autoritario, quello comunista”.

Il presidente, dopo aver sottolineato l’importanza della seduta solenne di oggi affermando che “essere qui serve a commemorare, ma soprattutto a comprendere, approfondire, ricordare tutte le vittime e a dire ancora una volta che quello che è accaduto non dovrebbe accadere mai più”, volge lo sguardo alla guerra in atto in Ucraina. “Purtroppo non è così. Lo vediamo a poche centinaia di chilometri di distanza da noi dove quelle violenze stanno ancora continuando”.

Il filo del discorso del presidente Mazzeo giunge poi a toccare la nostra terra, la Toscana, che pure non fu risparmiata dagli effetti di quelle violenze. “Si stima che circa duemila persone – dice - furono portate a Laterina, in provincia di Arezzo, dove tre anni fa il Consiglio regionale di riunì simbolicamente per celebrare il Giorno del Ricordo. A Laterina, quello che era un campo di concentramento militare e di prigionia si trasformò, dal ’48 al ’63, in un centro di raccolta di profughi giuliano-dalmati”. “Mi piacerebbe – continua - che quel luogo di sofferenza potesse diventare un luogo della memoria da far visitare ai nostri studenti”. Mazzeo coglie l’occasione per ribadire l’impegno come assemblea legislativa di “definire una legge che permetta ai ragazzi di svolgere un servizio civile della memoria per dire in modo chiaro che siamo contro ogni tipo di totalitarismo ed odio etnico”.

Poi Mazzeo rivolge un pensiero ai familiari delle vittime, ai sopravvissuti, agli esuli e ai loro discendenti per rinnovare “il senso forte della solidarietà e fraternità della nostra regione”. “Quella di oggi – dice il presidente - non vuol essere una mera celebrazione, ma un modo per ribadire l’impegno delle istituzioni a tener viva la memoria”, a farsi carico di “essere amplificatori di memoria” e a “coinvolgere i ragazzi in questa direzione, perché l’unico antidoto contro queste barbarie è costruire una cultura diffusa che renda ognuno protagonista nella costruzione della libertà“.

Infine, Mazzeo conclude: “la giornata di oggi ci richiama una volta di più anche alla necessità di lavorare per costruire un’Europa più unità, più forte, più solidale” e ancora, “intervenendo ieri a Bruxelles, accolto da un lungo applauso di tutti i deputati europei, il presidente Zelensky ha detto che 'Europa significa libertà' e noi questo valore dobbiamo sentirlo sempre più forte, farlo nostro. Non alzando muri, ma cercando di essere costruttori di pace”.

Giani: "Un dovere andare a fondo della storia"

"È nostro dovere andare a fondo della storia e guardare al futuro senza fare l’errore di cancellare dalla memoria questa pagina, che è fondamentale nella lettura storica delle vicende che si accompagnano alla seconda guerra mondiale, al fascismo e al nazismo".

Così il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani questa mattina a conclusione della Seduta Solenne del Consiglio regionale dedicata al Giorno del Ricordo e all’orrore delle foibe e all’esodo giuliano-dalmata.

"Abbiamo vissuto una sorta di dimenticanza del dramma che si consumò in territori italiani come l'Istria, la Dalmazia, Fiume - ha affermato – e sono orgoglioso che il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, un toscano, abbia voluto identificare il 10 febbraio, la data di un importantissimo trattato di pace, come il Giorno del Ricordo. Oggi dobbiamo tramandare questa memoria, soprattutto ai giovani, perché è attraverso di loro che passa il senso di ragionevole rilettura della storia, affinché non debba e non possa ripetersi mai più ciò che è accaduto col dramma delle foibe".

"È indubbio – ha continuato Giani - che grazie all’Europa si stanno a poco a poco rimarginando ferite che sono rimaste sempre vive nel corso di questi decenni. I segni di speranza oggi ci sono: nel 2025 Gorizia e Nova Gorica saranno insieme capitali europee della cultura. Inoltre dal 1° gennaio la Croazia è entrata nell’area dell’Euro e questo è un elemento che faciliterà le relazioni e i rapporti sul piano economico e commerciale".

Giani si è poi concentrato sul dramma "dell’allontanamento di massa". "È fondamentale il ricordo delle migliaia di persone uccise e gettate nelle cavità del Carso, solo perché italiane – ha detto - Altrettanto importante è ricordare il destino dei loro familiari e dei 350mila italiani che furono costretti ad abbandonare le loro case, le loro famiglie, un radicamento secolare, per trovare nella penisola condizioni di accoglienza precarie e spesso espressione di diffidenza. In questo dobbiamo essere autocritici. In tanti si sono integrati in alcune parti d’Italia ma, a causa della dimenticanza del loro dramma, hanno vissuto un’accoglienza non sufficientemente solidale e serena. Attraverso il Giorno del Ricordo dobbiamo ripristinare il senso di profonda solidarietà e vicinanza verso queste famiglie".

"Attraverso occasioni come questa – ha concluso - vogliamo e dobbiamo recuperare i motivi politici che hanno portato alla lettura sottaciuta del dramma delle foibe. Dobbiamo guardare al futuro dell’Italia e dell’Europa, col compito non facile di rimarginare le ferite, avendo sempre consapevolezza e memoria. È questo ciò che ci chiamano a fare le nuove generazioni".

Vicepresidente Casucci: "Chi non ha ricordi non ha futuro". L'intervento dello storico Gianni Oliva

Il vicepresidente del Consiglio regionale della Toscana Marco Casucci ha sottolineato che “è nostro compito fare comprendere, tutti insieme, il significato di questa giornata, che ha un alto valore simbolico e identitario. Ricordare significa rivivere un’immane tragedia italiana, svelare un capitolo della storia nazionale e internazionale rimasto per troppo tempo oscuro, che causò lutti e versamento di sangue innocente”. “Dopo l’istituzione della Giornata del ricordo nel 2004 – ha proseguito Casucci – non c’è più un’Italia di vittime dimenticate e noi dobbiamo dare il nostro contributo per non dimenticare quanto accaduto in quelle terre dal settembre del 1943 al febbraio del 1947. Terre che sono passate direttamente dall’oppressione nazifascista a quella comunista “. Sul fatto che migliaia di persone siano state gettate nelle foibe perché avevano l’unica colpa di essere italiani o di rappresentare le istituzioni “è caduta un’ingiustificabile cortina di silenzio – ha aggiunto il vicepresidente – così come sullo stillicidio dell’esodo degli anni successivi”. “E’ nostro dovere tramandare il ricordo di quanto è successo come monito alle nuove generazioni affinché non si ripeta – ha concluso -. Chi non ha ricordi non ha futuro e in questo l’impegno delle istituzioni deve essere totale, è la base per costruire un mondo di pace e di solidarietà”.

La cronologia e le cause dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata sono stati poi ripercorsi nell’intervento dello storico Gianni Oliva, il cui lavoro si è concentrato molto sulla zona adriatica. Il suo saggio “Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria”, pubblicato da Mondadori nel 2002, è stata una delle prime e più esaustive opere di divulgazione scientifica sull’argomento.

“La zona nord-orientale dell’Italia è un’area vasta, di frontiera, in cui convivono gruppi etnici, linguistici e culturali differenti” ha premesso Oliva. Italiani, sloveni e croati hanno convissuto pacificamente per secoli fino alla prima guerra mondiale, quando l’affermarsi in Italia di un nazionalismo molto forte ha creato in quest’area profonde divisioni. “Nella seconda guerra mondiale, dal 1940 al 1943 gli italiani alleati con Hitler hanno occupato la Jugoslavia e fatto tutto quello che fanno gli occupanti quando controllano territori che reagiscono con la guerriglia, cose brutte – ha ricordato -. Da parte slava la resistenza dei partigiani fu subito egemonizzata dal partito comunista jugoslavo e da Tito”. Tito, per cementare le diverse componenti della popolazione della Jugoslavia, capì che doveva creare un nemico: gli italiani. Per questo si fece leva sul nazionalismo slavo con l’obiettivo di annettere al paese tutte le terre mistilingue, e per questo gli jugoslavi occuparono l’Istria puntando a Trieste. Iniziarono gli infoibamenti “con l’obiettivo di eliminare tutta la classe dirigente italiana”. Nel giro di 45 giorni, ha spiegato ancora lo storico, si calcola che vennero uccise 6-7 mila persone. “Una strage di dimensioni enormi, di carattere etnico politico”.

Successivamente all’accordo della linea Morgan, per molti italiani rimasti nella parte jugoslava, impauriti e senza più intravedere un futuro inizia la difficile fase dell’esodo. Quasi trecentomila persone distribuite in oltre cento campi in tutta Italia, in cui vissero per anni in condizioni difficilissime. “I profughi non erano ben visti, perché gli immigrati danno sempre fastidio – ha spiegato ancora Oliva – e perché arrivarono in un’Italia a pezzi, bombardata e povera”.

Ma perché per decenni di queste vicende si è parlato poco o niente? La spiegazione dello storico richiama varie motivazioni. “Intanto Tito, rompendo con il fronte comunista, divenne un interlocutore e le regole della democrazia dicono che non si mette in imbarazzo un interlocutore con domande scomode”. Ancora, “il partito comunista non aveva interesse a parlare di foibe per le sue contraddizioni” e soprattutto “venne adottato un grande silenzio di Stato, perché l’Italia è uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale ma non lo voleva ammettere”. Per lo studioso “ci siamo costruiti un’immagine per cui la guerra è iniziata con l’8 settembre, quando ci siamo schierati dalla parte giusta, senza fare i conti con il passato”.

“La verità – ha concluso Gianni Oliva – è che le vittime delle foibe non erano né di destra né di sinistra, erano italiani che si sono trovati a vivere nel posto sbagliato. La guerra è impietosa, ed è nostro compito tributare rispetto a queste vittime ed evitare strumentalizzazioni”.


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Fonte: Consiglio regionale della Toscana - Ufficio stampa



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