La mostra di Federica Gonnelli, Sara Lovari ed Elisa Zadi

Si tratta di una galleria d’arte di oltre 500 metri quadrati, in località Forra di Castelnuovo, a Casalguidi, nel comune di Serravalle Pistoiese. Vi è stata ospitata un’intensa mostra di Federica Gonnelli, Sara Lovari, Elisa Zadi, con l’attenta curatela di Laura Monaldi. Un luogo eccezionale ha offerto la possibilità di lavorare quasi senza limiti spaziali, con libertà assoluta, permettendo di raccontarsi in modo esaustivo, con opere in qualche caso piuttosto datate, ma che mantengono intatta la loro forza espressiva. Si è costruito un ideale confronto dei vari percorsi artistici, con temi e materiali che richiamavano, ogni volta, il lavoro delle altre.
Nel bel catalogo (pubblicato dalle edizioni Alvivo), Laura Monaldi racconta questa mostra, tenuta per diversi mesi, a Spazio Zero arte contemporanea, nel Comune di Serravalle Pistoiese. Si tratta di un ex capannone industriale, con una superfice ragguardevole, che con una dedizione oggi sempre più rara, è stata aperto nel 2020, da Edi Pagliai e Luigi Petracchi, dedicandolo alla ricerca artistica, intesa anche come promozione di un impegno espressivo spesso di giovani, pittori, scultori, performer in genere, musicisti, attori, conferenzieri.
Anche durante “Vis-à-vis” si sono susseguite serate assai partecipate, dedicate a temi vari, in genere di donne e sulle donne. D’altra parte, questo era il motivo in discussione, quello dell’identità e di una identità femminile. Gli uomini riflettono molto meno su se stessi, sono in genere poco “autobiografici”, mentre invece le artiste della mostra di Spazio Zero, hanno la propria interiorità e anche la propria immagine che si ripete, tanto da assomigliare ad una sorta di mantra.
“Quasi in senso diaristico – scrive la Monaldi – le opere in mostra si configurano come una grande installazione, un insieme di frammenti che dialogano in uno spazio familiare, intimo, scandito dall’Armonia dei sensi, dalla leggerezza dell’organza, dalla meraviglia del colore e dalla poeticità della parola e dell’immagine su carta (…). L’identità nel tutto e nel nulla, nello spazio espositivo e nell’anima delle artiste, che nella mostra hanno donato allo spettatore una parte di sé e delle proprie vite, in cui è facile riflettersi e riconoscersi per somiglianza e compatibilità: guardarsi vis-à-vis è un atto di coraggio e virtù”. Non sempre chi scrive può mischiare le carte in questo modo, ma nel nostro caso è come se il percorso fosse comune, se nella loro individualità, Federica, Sara ed Elisa dialogassero tra loro, a partire da percorsi espressivi che sono profondamente diversi.
Cominciamo da Elisa Zadi, la sua è una pittura che potremmo definire tradizionale, il colore – qualunque esso sia – è steso sulla tela, in forme più o meno consuete, nella norma della pittura. Le immagini sono quasi sempre dell’artista stessa, poste in ambienti all’aperto, ricchi di piante e di animali, con un’inquietudine che è data dalla disposizione degli oggetti, dalla loro resa cromatica. Si tratta di opere potenti, che possono interessare chi le osserva, tanto riescono a incuriosire, a conquistare la fiducia. L’artista si spoglia, si mostra con pochi indumenti indosso, nella sua minuta fisicità, in una scala cromatica ricca di colori in genere piuttosto lividi.
In questo senso si può fare un confronto con i lavori proposti da Federica Gonnelli, che invece scelgono modalità espressive più contemporanee, più vicine alle installazioni concettuali, ma a partire da esigenze simili a quelle della Zadi e anche di Sara Lovari. Si parla non di mondi lontani, ma di un universo assolutamente vicino, prevedibile, con i fatti della quotidianità. Siano il volto dell’artista, come quello dei suoi antenati, essi si mischiano e si sovrappongono, con tecniche di suggestione ed evanescenza. C’è alla fine una delicatezza espressiva, anche nei mezzi più invadenti, come la video proiezione. Sono figure che si assommano sul lato di una grande tenda di organza, che assomiglia alla casa di un nomade del deserto, bianca all’esterno, rossa all’interno, ad avvolgere elementi della storia narrata. Anche questo racconto è ottenuto meno dagli oggetti rappresentati, più dalla sensazione che la grande opera produce nello spettatore, in qualche modo vinto dall’imponderatezza delle parti in scena. É un teatro dell’arte, dove attore e spettatore possono agevolmente trovare il loro luogo deputato di rappresentazione.
Fatto ancora più evidente nei lavori di Sara Lovari, quasi sempre realizzati con carte e cartoni. Si tratta di materiali riciclati, ai quali non si attribuirebbe alcun valore e che nelle mani dell’artista si possono trasformare in magici elementi narrativi. Ad esempio le enormi scarpe, ottenute anche qui con carte sovrammesse e incollate tra loro, con i lacci che si intrecciano, che ancor meglio si avvolgono nelle menti di chi osserva, di chi si lascia vincere dalla memoria: sono le scarpe dei grandi, dei genitori e dei nonni, ogni bambino le ha indossate, immaginando storie fantastiche e fissando nella mente sensazioni dietro alla coscienza, o meglio sotto: nel profondo, evocato per noi, in quelle che sono le parole, ma soprattutto le azioni espressive dell’artista. Nel racconto dell’opera, si nasconde il viaggio, il senso del passaggio, la barca di carta, l’abito della sposa, l’immaginazione del bambino. Il tutto ottenuto con formidabile perizia tecnica. Dietro di lei – dietro all’opera - non si nasconde soltanto un’idea, più o meno ‘geniale’, c’è molto altro, grazie ad un bisogno espressivo che ci appare assolutamente fuori dall’ovvietà, extra ordinario.
“La mostra – scrive ancora la curatrice – è un invito a mettersi in gioco, a riscoprirsi e a rigenerarsi, ma anche ad analizzare il tema dell’identità fra apparenza e sostanza, nella mutevolezza del tempo e nella dinamica delle vicissitudini del mondo (…). Le opere in esposizione si confrontano all’unisono, fra autoritratti, frammenti, carte che raccontano, istantanee di vita vissuta, scatti che lasciano il segno… rappresentano un dialogo fra le artiste, una conversazione che ha i tratti di un riflesso allo specchio, di una condivisione d’intenti: con uno sguardo critico sul presente, ma rivolto al futuro (…) è l’invito… a condividere frammenti di sé, a trovare connessioni, a leggersi dentro e rigenerarsi; a indagare l’identità, propria e altrui; a viaggiare nel tempo perduto e nei mondi possibili che l’uomo può creare dentro e fuori di sé”.

Infine, una riflessione su quanto abbiamo appena scritto, ma anche sulla eccezionale funzione che una galleria come Spazio Zero può/potrebbe avere: è ancora un suggerimento che l’Arte deve darci: in tutta la sua fragilità, nella pochezza del suo procedere. Perché, alcune delle immagini che abbiamo ammirato, avevano la potenza degli affreschi nelle chiese e nei palazzi medievali, delle Maestà di Duccio o di Simone Martini, di Coppo di Marcovaldo, fino a – per cambiare epoca e mondo - Botticelli e la sua Primavera: figure di donne in primo piano, fondo scuro, decine di piante fiorite a schiarire l’opera, personaggi che, sullo sfondo, danno vita ad altre azioni.
Ebbene, nelle opere delle artiste di Spazio Zero, c’è più di un richiamo a questi capolavori, che hanno interessato-educato chi da loro si è lasciato trasportare, spesso nell’immaginazione della Fede. Oggi qualcosa di simile potrebbero appunto fare queste opere, a patto di ricollegare l’arte con l’uomo, il suo racconto con chi può guardare e vedere, lasciarsi turbare, godere della bellezza delle immagini e dei percorsi espressivi. È Un suggerimento per l’oggi, per il suo muoversi, per il vagare nei luoghi della vita, che Spazio Zero, in mostre come quella che si è appena conclusa, può appunto – potrebbe - realizzare.

Fonte: Ufficio Stampa



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