Prosegue alla galleria ZetaEffe di Firenze la mostra di Karl Stengel Di-Segni

Oltre 15 metri di pannelli di cartone corrono lungo un muro della galleria. Un affastellamento di disegni dal 1965 al 2009 che portano all'immaginazione un grande tavolo da lavoro sul quale l'artista ha voluto esporre i suoi disegni. La semplicità del materiale di supporto – o di appoggio – diminuisce la distanza tra arte – troppe volte considerata elitaria e di palazzo – e fruitore. Cornici, vetri, passpartout ed altri orpelli scansano le depravazioni del pur necessario mercato dell'arte cosicché lo spettatore possa godere del dialogo, a faccia a faccia, con l'artista che gli si pone intimo e privo di ogni difesa oggettiva.

Comincio a camminare lungo questi disegni e noto che la matita, il carboncino o il pastello marcano segni contraddittori: è come se cercassero un altrove posto tra naturalismo, anti-naturalismo e tra astratto e figurativo. I volti, così come le anatomie, non sono mimetici ma allusivi a quel mondo umano; metaforici: mi rassicura Stengel quando dice “Sono uno di voi, sempre!”. Il segno nervoso della matita disegna un volto che si mischia a dolci ombre di natiche e interni coscia femminili; i colori dei disegni astratti vegliano sui volti umani e, in certi altri, quando astratto e figurativo non si uniscono in uno stesso disegno, sembrano suggerire qualcosa l'uno dell'altro.

Mi viene da pensare che nell'ormai decretata distanza tra i due poli, dove nell'uno si agitano le armi di Mondrian e nell'altro quelle di Michelangelo, la contesa tra puro spirito e carne sembra avere Stengel come pacificatore: astrattismo e figurativo collaborano alla stessa causa in una virtuosa contaminazione.

Del resto, cos' è l'astratto se non la trascendenza alla quale tutti noi incliniamo? Cosa se non quel guazzo di sensazioni troppo difficili da dire e catalogare? E ancora: chi meglio di un astrattista può consapevolmente disegnare volti?

In questa passeggiata con Stengel lungo il pannello in cartone, mi fermo ad un certo punto davanti ad un disegno in cui il pastello, calcato con forza, vergherebbe anche lo spirito degli animi più dimessi. Mi sembra di essere nel pieno di una sinfonia: quando essa incalza verso il punto apicale, e il direttore d'orchestra scarica sanguigno tutto quel che ha raccolto, liberando l'estasi degli ascoltatori. In quei cromatismi, l'anima si riscatta e dice 'questo sono io'.

Gli astratti volti umani, disegnati febbrilmente da Stengel, non accettano i benefici illusori della mistificazione e del puro estetismo ma calcano, semmai, la via della ricerca con – come Stengel cita Goethe – “l'occhio che sente, la mano che vede”.

La galleria d'arte – che spesso ha la stessa funzione demiurgica del critico, interpretando l'artista con l'allestimento della mostra – terrà aperta l'esposizione (a libera entrata) fino al 31 luglio.

 

Fonte: Ufficio Stampa



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