Licenziata per terapie salva-vita, storie di lavoro in un paese 'non-buonista'

Sarò breve, perché di fronte a queste tragedie personali (questo è il giusto termine), le parole arrossiscono. Il caso della donna e mamma empolese licenziata perché impossibilitata a lavorare a causa di una bruta malattia contro cui sta lottando, è la rappresentazione plastica del nostro paese. Ogni norma, ogni 'Legge' (parola evocata come un coltello ogni giorno dalla politica) porta con sé sempre uno "spirito della legge", riverbera dei contenuti di cultura politica e civile, media cioè un significato, un contenuto, un'idea oltre la norma giuridica. Ecco la storia di questa donna è la rappresentazione di una società che ha fatto del buonismo una malattia, di una società atomizzata che non accetta la difficoltà dell'altro, che non riesce a provare empatia, che è incapace di portare il peso della Giustizia.

No, non è colpa di Salvini, piccolo epifenomeno politico di questo lungo corso italiano, e certo non è da ora che nel mondo del lavoro la norma strettamente giuridica e i libri mastri contino di più della giustizia sociale: è vero, nessuno lo nega, ma noi cosa stiamo facendo contro tutto ciò? In nome della globalizzazione, della stabilità dei conti, dello sviluppo e del benessere (non si capisce bene di chi e di cosa) abbiamo smantellato l'architrave della tutela dei lavoratori, lo Stato si è ritirato e ha lasciato che qualcuno costruisse, senza aver bisogno di permessi o licenze, il nuovo monumento del lavoro 'flessibile'. E nessuno è incolpevole:  abbiamo dato il nostro consenso a questa cultura del lavoro, abbiamo accettato l'idea di uno stato ridotto a mero osservatore e abbiamo ritenuto tutto sommato giusta la costruzione di un mondo del lavoro dove chi è più bravo, forte o fortunato, vince. Lo Stato come pericoloso usurpatore delle libertà individuali, il mondo del lavoro come paesaggio di guerra. Una gabbia di lupi affamati, che ha smesso persino di costituirsi come branco: tutti contro tutti, ma per principio di simpatia. Così l'individuo non-buonista ha preso nota di come 'bisogna' comportarsi e si è adeguato: il mondo del lavoro è solo uno dei settori di applicazione.

Ecco la terribile storia di questa mamma serva per riflettere, serva ai sindacati per riaffermare il principio che il lavoratori non sono una merce da valutare in base alla loro produttività, che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro e il lavoro è un fatto politico su cui la politica deve intervenire, serva alle persone comuni e a chi fa impresa a comprendere con questo tremendo caso-limite che essere "buoni" significa affermare un principio cardine (politico e non solo morale) della nostra civiltà: la Giustizia.

Spero vivamente che lo Stato questa volta intervenga, che la società che ha licenziato questa donna torni sui suoi passi. Spero che la donna possa continuare a lottare e vincere la sua battaglia sentendosi 'cittadina', con il sostegno dello Stato, ma anche con il supporto simbolico di tutta una comunità politica che grida all'unità solo quando una nave carica di disgraziati supera un confine (fittizio).

Giovanni Mennillo

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