Chiude la Casa famiglia 'Millecolori', allontanato un ragazzo

L'Associazione: "Non portateci via M"


L'Associazione Amici della Zizzi denuncia la 'follia burocratica' a causa della quale ha chiuso la Casa Famiglia Millecolori dell'associazione 'Amici della Zizzi'.

La struttura, guidata da Riccardo Ripoli, ha 6 posti a Livorno dedicata a giovani con situazioni familiari difficili che sono stati affidati ai servizi sociali che a loro volta li hanno collocati negli anni nell'associazione. "Non continuità affettiva", questo viene contestato alla struttura.

La Casa Famiglia Millecolori fa sapere che anche M. uno dei ragazzi con problemi di ritardo cognitivo, 18enne  accudito da 8 anni da 'Gli Amici della Zizzi', prima in affidamento a Ripoli per 5 anni, dal 2011 al maggio 2016, poi passato nella la Casa famiglia, verrà allontanato dai suoi affetti.

Riccardo Ripoli fa sapere che M. "Ora sarà assistito come maggiorenne da una struttura con la quale non ha nessun legame, tantomeno familiare. Chiedo quindi ai servizi sociali che M. - prosegue Ripoli-, da poco diventato maggiorenne, venga dato in affidamento a me personalmente. M. ha una madre naturale a sua volta in una struttura per handicap grave e il padre non si è quasi mai occupato di lui".

"Buona vita e Buon Natale M. -scrive in una nota S0s-Affidamento Bambini Maltrattati-, lontano dai tuoi affetti più cari che ti sei costruito in oltre otto anni di vita".

Poi la storia di M. e della decisione del giudice, raccontata in un'altra nota:

"Quando M. compì 17 anni chiedemmo ai servizi l'affidamento amministrativo, ovvero il prolungamento dell'affido fino al 21° anno di età, dichiarandoci ovviamente disponibili ad accudirlo ben oltre tale limite."
I servizi sociali fecero sapere che M. sarebbe dovuto tornare al suo paese a 18 anni, per entrare in una comunità per adulti con handicap.

Gli Amici di Zizzi si rivolgono al tribunale. Il giudice, fanno sapere dalla Casa Famiglia, dopo un anno di indagine, "acconsente al prolungamento dell'affido fino ai 21 anni motivandolo nel decreto per consentire a M. di completare il percorso di crescita e di sviluppo identitario, mantenere la frequenza scolastica, favorire (e non sradicare) il processo di integrazione nel territorio incaricando i servizi affinché favoriscano e supportino tale progetto". Ma "il giorno in cui il tribunale emette il decreto ecco che arriva la commissione di vigilanza, dieci uomini e donne i quali non trovano nulla, ma proprio nulla che non vada, e lo scrivono: tutto regolare.
Unica cosa scrivono di aver trovato in soffitta un ingente quantitativo di merce con TMC (termine minimo di conservazione) scaduto obbligandoci ad eliminarlo immediatamente, nonostante le nostre rimostranze.
A distanza di quasi tre mesi (la legge prevede una risposta entro quindici giorni) ci viene comunicato che non abbiamo più i requisiti per l'autorizzazione al funzionamento per, si legge nelle motivazioni, "Non continuità affettiva".
Ora di noi tutto si può dire, ma non certo che non abbiamo dato continuità agli affetti e all'accudimento verso i nostri ragazzi, motivo di vita da 33 anni e passa.

Il 26 novembre è stata sancita, da parte del comune di Livorno, la chiusura della Comunità familiare, nonostante le nostre difese con tanto di avvocato.

Lotteremo con atti legali affinché questo non accada".

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