
L'accordo al massimo ribasso votato dalla maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici dello stabilimento "Vibac" di Vinci: accettate o tutti licenziati.
Dopo mesi di trattative che hanno visto una dura lotta di operai e impiegati della fabbrica, incontri al MISE, proposte e tentativi di mediazione a vari livelli istituzionali, la proprietà ha messo nero su bianco che si riserva di licenziare fino a 75 dei 117 dipendenti, scegliendo chi resterà e chi no, escludendo la possibilità di un contratto di solidarietà che salvaguardi i posti di lavoro, destinando una cifra irrisoria agli incentivi all'esodo, rifiutando la rotazione dei lavoratori durante il periodo di cassa integrazione e non presentando nessun piano di rilancio produttivo del sito.
Una proprietà aziendale arrogante e sempre pronta a sfruttare a proprio vantaggio ogni possibilità di ricevere aiuti pubblici in cambio di niente, si appresta a sbattere fuori 75 lavoratori, facendone rientrare soltanto 40, senza una prospettiva ben definita.
Considerando lo stato attuale delle cose, forse fra qualche tempo lo scenario di "crisi" aziendale si riproporrà, con l'ennesimo esborso di denaro pubblico sotto forma di ammortizzatori sociali e con la chiusura di uno stabilimento dai cui lavoratori avrà già spremuto tutto. E magari lo stesso trattamento toccherà alle maestranze degli altri siti produttivi italiani del gruppo, con la definitiva delocalizzazione in Serbia di tutta la produzione.
L'impegno profuso dal Sindaco di Vinci, dagli Enti Locali e dal Sindacato per evitare questo esito è risultato vano anche e soprattutto a causa del quadro legislativo che si è affermato nel nostro Paese negli ultimi decenni. Una legislazione tutta sbilanciata a favore degli interessi imprenditoriali a scapito di quelli dei dipendenti, voluta e implementata dalla UE e da tutti i Governi di Centrosinistra, Centrodestra e tecnici che si sono succeduti dagli anni '90 a oggi.
Il quadro normativo attuale rende insomma molto difficile ottere il mantenimento della piena occupazione quando da parte imprenditoriale c'è un netto rifiuto in tal senso, manca un compratore che si impegni a riassorbire tutta la manodopera e manca un intervento statale diretto.
Il PCI sarà sempre assieme alle lavoratrici e ai lavoratori in tutte le loro vertenze, battaglie e per riconquistare una legislazione che garantisca diritti, potere e dignità alla classe lavoratrice.
Soltanto cambiando radicalmente la politica economica, con un piano del lavoro che salvaguardi i diritti di chi paga le tasse fino all'ultimo centesimo (cioè i lavoratori e le lavoratrici dipendenti), affermi il ruolo dello Stato come imprenditore diretto e programmatore della produzione pubblica e privata, come prevede la Costituzione, sarà possibile ricostruire un tessuto economico e sociale democratico, che dia serenità e benessere duraturi a tutti i cittadini.
La profonda crisi causata dalla pandemia di Coronavirus può essere l'occasione per ricostruire un Paese più giusto che rimuova, come recita l'articolo 3 della Costituzione, gli ostacoli che impediscono l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Fonte: Pci sezione Empolese Valdelsa
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