"Più aperture": politica e associazioni contro la Fase 2. Conte 'timido', ma solo di fronte alla scienza

Che non bastassero una pandemia e 30mila morti a distogliere gli occhi di un popolo dal proprio riflesso c'era da aspettarselo, ma lascia di sasso non vedere nemmeno un po' di imbarazzo nello sventolare bandiere di particolarismi e interessi di parte. Insegne riaccese nella notte buia di una delle più grandi tragedie degli ultimi anni, mobilitazioni collettive nel silenzio della quarantena, 'letterine' di politici in cerca di consenso e tanta retorica giocata sulla paura di chi si è visto chiudere da un giorno all'altro la propria attività: questo è il teatrino che ha accompagnato l'annuncio della 'fase 2' dell'emergenza Covid-19.

La 'fase 2' e le aperture 'a metà' hanno avuto il 'merito' di rianimare una società che si era ammutolita di fronte alla paura di un virus, e che poi dopo un mese e mezzo e qualche punto in meno nella curva epidemiologica si è dimentica di quel che è accaduto. Non voglio fare i conti in tasca delle persone, perché esiste una tragedia economica in corso che è grave, gravissima. Ma cosa vi aspettavate? Che la pandemia significasse qualche like sui social, qualche videochiamata tra amici, le mascherine e una pizza a domicilio? Cosa non è stato compreso di quel che sta accadendo? Come non aspettarsi rinunce, sacrifici, debiti? Dove sono gli hashtag #iorestoacasa, la caccia all'untore, le canzoni sui balconi di casa e i video strappalacrime sull'Italia che riparte o sui medici eroi? Ci siamo dimenticati dei nostri morti?

Conte ha ammesso di essersi preso la responsabilità di un "rischio" di un nuovo contagio e di nuovi morti, certamente per rispondere alle pressioni di quelle stesse categorie che ora invocano battaglie 'massimaliste'. Il "Conte timido", il "Conte poco coraggioso", l'Italia "che deve ripartire"... il punto è capire dove vuole andare.

Conte timido, ma di fronte alla scienza

Eppure basterebbe guardare i numeri e ascoltare la scienza che ad oggi, più di ogni arringa di qualche presidente di categoria, deve essere l'unico soggetto a tirare per la giacchetta la politica. La 'fase 2', sia chiaro, non è altro che la trascrizione delle disposizioni sanitarie del Comitato tecnico scientifico fornite al governo, un documento di 22 pagine dove si legge che "una riapertura totale porterebbe ad un veloce collasso delle terapie delle terapie intensive con una stima di 151 mila ricoveri gia' a giugno". Si consiglia quindi "una riapertura parziale delle attività lavorative, ad esempio al 50%, specificando che "è evidente che lo spazio di manovra sulle riaperture non è molto". Insomma se ci fosse una riapertura generalizzata i numeri dei ricoveri nelle rianimazioni tornerebbero cioè ad essere insostenibili, questo è il grande pericolo. Nel documento, addirittura, si fa riferimento al fatto che non sia accertato l'effettivo beneficio di mascherine o distanza sociale, il che basterebbe a dare il senso della situazione di incertezza e rischio a cui andiamo incontro.

Il comitato ha preso in considerazione tutte le eventuali aperture, varando diversi scenari possibili. Un approccio di tipo scientifico-sanitario, non politico-economico: a voi stabilire quale debba contare di più. Nel documento si boccia ad esempio l'ipotesi di riapertura delle scuole, mentre per quel che riguarda le attività professionali si consiglia aperture di specifiche attività a scaglioni.

A insorgere nel post fase 2 è stato soprattutto il mondo del commercio la cui apertura è stata posticipata di almeno due settimane, beh nel documento si visiona anche lo scenario di un'apertura di queste attività, accertando che se bar, ristoranti, attività industriali, edilizia e commercio insieme fossero aperti, farebbero crollare le terapie intensive entro il 31 agosto. Si tratta di modelli matematici che qualcosa vorranno pur dire. Sono quindi gli scienziati a proporre un "approccio di massima cautela per verificare sul campo il reale impatto" e "un approccio a passi progressivi" consapevoli che il 'passo avanti' si sta facendo su un campo minato.

È evidente che il decreto è la risposta della politica alle pressioni della società civile più che l'uscita da una crisi sanitaria e Conte 'il timido' lo ha detto chiaramente: "è un rischio che ci dobbiamo prendere".  Il collasso delle terapie intensive significa persone non curate, persone che muoiono di più perché curate peggio, persone che muoiono in casa. Chi invoca il "coraggio" lo tenga a mente. La 'fase 2' è una passeggiata in un campo minato sperando di arrivare dall'altra parte sani e salvi, il rischio esiste ed è forte. Il governo sta già facendo un azzardo, il "coraggio" non sia incoscienza.

Tutti all'attacco

Dello slogan #uniticelafaremo, cosa è rimasto? Dopo un mese e mezzo, quando la paura si è trasformata in normalità e la curva epidemiologica ha accennato a scendere, l'insofferenza è presto emersa e qualcuno si è sentito di fare la voce grossa.

In testa c'è Confcommercio Toscana che ha annunciato "iniziative molto forti", mentre Confesercenti Toscana accusa Conte di "poco coraggio", Confartigianato si accoda alla protesta. Ma anche la politica, da destra a sinistra, appesa al chiodo la stellina da sceriffo degli ultimi mesi, non perde occasione per cavalcare l'onda: il candidato PD Giani chiede di riaprire prima, Rossi scrive a Conte e propone la garanzia dell'attività motoria, la Lega chiede di riaprire i negozi e parla di scelte sbagliate, Italia Viva critica duramente Conte e Matteo Renzi da settimane si sta autoeleggendo alfiere delle riaperture, FI parla di "ingiusta discriminazione".

Un'ampia platea di critiche da ogni parte, insomma. Lo Stato, il decisore e colui che si prende la responsabilità delle decisioni sanitarie in questo momento, è nel centro di questo fuoco incrociato. È giusto in questo momento che le sue decisioni siano condizionate da interessi di parte e non dalla sicurezza sanitaria? Secondo qualche inchiesta giornalistica qualcosa del genere è accaduto in una prima fase, in Lombardia, quando un'area dove scorrazzava il virus era pronta ad essere chiusa, ma il Governo, pressato da qualcuno, fece un passo indietro, perdendo prezioso tempo. Posto che la società civile e le sue richieste sono l'anima di una democrazia, è questo un modello decisionale corretto in questo momento?

Lo ripetiamo: nessuno vuole fare i conti intasca alle persone. Esiste una emergenza economica e va affrontata, perché i contraccolpi sulle famiglie saranno immensi. Ma ripeto: ci aspettavamo che tutto finisse a tarallucci e vino? E soprattutto: siamo pronti a mettere l'emergenza economica davanti il rischio di nuovi morti?

Un decreto chiamato 'prudenza': il Covid-19 è dietro l'angolo

Insomma la 'fase 2' risponde ad un doppio registro: quello di chi vuole ripartire, e quello della scienza che avverte sul fatto che l'emergenza non è alle spalle, che ci sono rischi evidenti e che il pericolo è dietro l'angolo. Serve prudenza insomma.

Il decreto è  l'elaborazione normativa di un "rischio da prendere", ma con cautela e coscienza: esiste un pericolo contagi, non siamo usciti dall'emergenza sanitaria, quindi si prova a ripartire, ma con un modello progressivo e a 'comparti alterni', che prevede cioè nero su bianco passi indietro o in avanti nelle singole Regioni a seconda della situazione sanitaria monitorata costantemente. Un tentativo di ripartenza che si basa su un modelli matematico-scientifici redatti da un comitato di esperti ad hoc.

Alcune aperture sono state posticipate di due settimane, altre di un mese: l'obiettivo è monitorare e testare gli scenari epidemiologici. Si tratta di una riapertura "sperimentale" e "progressiva", come si specifica nel documento. È un decreto che si prende il rischio, ma non abbandona la prudenza, un decreto che cerca di fare un tentativo in avanti in una situazione che resta, va ribadito, emergenziale.

Onestamente non so se si poteva fare di più. Ritengo improbabile che Conte provi un gusto sadico nel tenere i motori dell'Italia ferma e le persone costrette a casa, pagandone sulla sua pelle in termini di crisi da risolvere post-Covid-19 e consensi, né sono accoglibili di fronte ai numeri dei morti le teorie del complotto antidemocratico. Insomma esiste un pericolo e si è agito di conseguenza, ignorarlo sarebbe stata solo la soluzione più facile.

L'impressione è che passata la paura, dopo un mese di quarantena, siamo di fronte al canovaccio di una doppia 'emergenza dimenticata' e che non si abbia la lucidità necessaria (o la voglia) di leggerne la complessità.

Emergenza economica e sanitaia: un compromesso difficile

Bisogna scolpirlo bene a caratteri cubitali: esiste una emergenza economica tanto grave quanto quella sanitaria. Il paese è letteralmente fermo, il PIL sta sprofondando, imprenditori e famiglie sono in difficoltà. Siamo davanti ad una crisi economica e sociale senza precedenti, uno scenario di macerie su cui ci si aspetta di costruire un nuovo modello democratico, oltre che economico. Attendiamo ancora un Cura Italia 2 (è atteso per fine mese, ndr), attendiamo che i pacchetti di aiuto disposti siano erogati, attendiamo che il Governo presenti sul piatto della blasfema bilancia che pesa morti da una parte e crisi economica dall'altra, un piano di rilancio del paese che scardini i vecchi dettami dell'economia. Serve in questo coraggio, non nelle aperture "tutto e subito" (con o senza mascherine e distanza sociale).

Serve il coraggio di sospendere la tassazione, di aiutare concretamente commercianti e aziende; serve coraggio, ma anche competenza, nel pensare un piano di investimenti e rilancio produttivo. Qualcosa è stato fatto, ma i commercianti sono logicamente impauriti. Non per questo si può usare questa paura, condita con un filo di populismo e etica della sfiducia verso i governanti, per mobilitare un popolo verso una possibile nuova ecatombe sanitaria.

Quindi sia chiaro: è legittimo che commercianti e negozianti siano preoccupati, è legittimo che richiedano aiuti e sostegno, ma non è legittimo che chiedano di anteporre la salute delle persone al loro diritto al lavoro. Alcune aperture saranno posticipate di due settimane, se tutto va bene un mese: i sacrifici sono stati fatti, la crisi è fattuale, è davvero questo un tempo tanto lungo da valere il rischio connesso e certificato dalla scienza di nuovi morti? Senza contare il problema di una nuova epidemia che porterebbe a chiudere tutto un'altra volta.

Bisogna insomma ricordare che il grado di sacrificio che chi più chi meno si sta facendo, lo si dovrà mettere sulla bilancia con delle vite umane strappate dal Covid-19. Per molti non è solo 'business', guadagno o qualche vizio di troppo, ma sopravvivenza: e questo nessuno lo nega, nessuno si permetterebbe di sottovalutare l'emergenza economica di tanti. Tutti questi soggetti sociali hanno il diritto di chiedere a gran voce sussidi, aiuti, agevolazioni, hanno il diritto di alzare la voce contro il Governo per chiedere la tutela economica a loro dovuta in quanto cittadini e il Governo ha il dovere di rispondere presente. 

Ma bisogna essere altrettanto chiari: chi chiede di aprire 'tutto e subito' senza tener conto della situazione sanitaria, deve anche avere il coraggio di dire esplicitamente che sta mettendo il rischio per la salute di soggetti più deboli su un piano gerarchicamente inferiore rispetto ai ricavi di un'attività. Sappiamo quali sono le 'vittime preferite' del virus, non nascondiamocelo, e questo non può essere il motivo per 'accettare' il rischio senza precauzioni. Se invece questo assunto carico di cinismo, che ha i contorni di un piano eugenetico, è accettato come fatto 'inevitabile', allora si abbia l'onesta intellettuale di dirlo chiaramente senza nascondersi dietro "timidezze del Governo", "celebrazione del coraggio" o retoriche di varia natura; ognuno se ne prenda la responsabilità morale e politica.

Giovanni Mennillo

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