Arte a Peccioli, ecco 'Rampa di Lancio'

Peccioli torna a essere palcoscenico di arte contemporanea, in linea con i progetti già realizzati nel passato che ne hanno fatto uno degli spazi per l’arte pubblica più rinomati in Italia. Su invito del Sindaco Renzo Macelloni è nata Rampa di lancio, una nuova iniziativa ideata da Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento di Firenze.

Rampa di lancio, a cura di Antonella Nicola e Sergio Risaliti, vede coinvolti dieci artisti di generazioni diverse: Francesca Banchelli, Chiara Bettazzi, Domenico Bianchi, Giulia Cenci, Andrea Francolino, Mimmo Paladino, Pantani-Surace, Paolo Parisi, David Reimondo, Emiliano Zelada. Ben otto di loro sono stati invitati a realizzare interventi sitespecific, secondo la tradizione dei precedenti progetti curatoriali. Di Mimmo Paladino e Domenico Bianchi sono invece state scelte opere significative rispetto al contesto urbano in cui verranno installate temporaneamente. Sullo sfondo la spettacolare terrazza del Palazzo Senza Tempo, progettata dall’architetto Mario Cucinella, una vera e propria agorà pubblica spaziale che protende il paese verso il suo stupendo paesaggio, unendo la funzione di piazza pubblica a quella di belvedere. Una piattaforma aerea, una ‘rampa di lancio’ che accoglierà I testimoni in bronzo di Mimmo Paladino assieme a tre Panchine in marmo intarsiato di Domenico Bianchi.

La terrazza acquista il carattere di luogo di incontro e di contemplazione, dove la sacralità arcaica e tutelare delle quattro figure di Paladino si collega alle strutture elaborate da Bianchi, tre panchine in marmo bianco di Carrara con le superfici arricchite da preziosi intarsi in pietre nobili e geometriche simbologie tra micro e macrocosmo. Le opere di Francesca Banchelli, Chiara Bettazzi, Giulia Cenci, Andrea Francolino, Pantani-Surace, Paolo Parisi, David Reimondo, Emiliano Zelada saranno invece dislocate all’interno dei nuclei urbani di Peccioli e di Legoli.

La relazione con gli spazi architettonici e lo spazio pubblico sono il tema centrale del progetto di arte pubblica iniziato ormai più di 10 anni fa dall’Amministrazione locale, che è arrivato a creare un percorso inedito di arte tra le vie e le piazze di Peccioli e delle sue frazioni, inscritto perfettamente nei ritmi quotidiani della comunità, distante dagli effetti spettacolari di tante metropoli e costantemente rinnovato dalle varie presenze artistiche. Interventi site-specific ispirati all’ambiente, che invitano i visitatori a scoprire l’anima dei diversi luoghi, spazi di vita e di incontro sempre rigenerati dalla presenza delle opere, che a loro volta si riattivano ad ogni occasione di incontro tra la comunità locale e il mondo di viaggiatori e turisti.

A Peccioli troveremo allora, anche le opere di Paolo Parisi, Pantani-Surace e David Reimondo, che vanno ad aggiungersi a quelle di Paladino e Bianchi. A Legoli verranno realizzate le installazioni di Francesca Banchelli, Chiara Bettazzi, Giulia Cenci, Andrea Francolino e Emiliano Zelada, che andranno a segnare poeticamente la piccola chiesa dei Santi Giusto e Bartolomeo, sia all’esterno dell’edificio che al suo interno. Ognuno di questi interventi ha preso in considerazione il rapporto con le necessità strutturali ed architettoniche dei luoghi, il vissuto quotidiano dei residenti, con i loro ritmi e le loro abitudini, ma anche i riferimenti storici e sacri che segnano i luoghi, i palazzi, i giardini.

Il lento processo creativo di composizione a strati delle cere, dei legni e degli intarsi preziosi che lentamente portano all’epifania di quelle cosmologie fluide che si rivolgono alla luce quale formula essenziale dell’esistere, e che si formalizzano nelle tavole e negli acquarelli di Domenico Bianchi, trovano rispondenza anche nella materia solida, nella roccia, che viene lavorata per dare vita alle Panchine in marmo nero, rosso e bianco di Carrara, realizzate dall’artista la prima volta nel 2009 in occasione della mostra Semper in Palazzo Medici Riccardi a Firenze. Un invito alla contemplazione da un punto di partenza che già poggia le sue premesse sull’infinito: la terrazza progettata da Mario Cucinella dove saranno installate tre panchine in marmo bianco di Carrara con intarsi blu lapislazzulo, per coinvolgere lo spettatore in un processo di sguardi e di visioni, all’interno e all’esterno, dal prossimo all’infinito, in un gioco raffinatissimo tra arte e design, pittura e funzionalità pubblica. Sempre sulla terrazza, di fronte alla facciata del Palazzo Senza Tempo, appaiono quattro Testimoni in bronzo di Mimmo Paladino che, come guardiani silenziosi, si parano a difesa dello spazio e del tempo. Figure tutelari per antichi riti che aprono a una dimensione arcaica del luogo, alle origini delle comunità e delle loro usanze, in un rapporto ancora ancestrale con la natura e il paesaggio.

Le figure di Paladino sono presenze iconiche, manifestazioni figurative che comunicano se stesse attraverso puri rapporti formali, referenziali e simbolici. Paolo Parisi interviene invece col colore, direttamente sulla facciata di un bel palazzo con loggiato su Piazza del Popolo, dando vita all’opera Il respiro delle piante che produce cielo (blues). Parisi si è lasciato ispirare dagli affreschi del quattrocento -di cui il territorio di Peccioli conserva un bellissimo esempio nell’opera di Benozzo Gozzoli a Legoli- e dal suggestivo paesaggio. Su questa risonanza, l’artista è intervenuto colorando la facciata del palazzo, scegliendo i toni delle molteplici gradazioni di blu comprese nel campionario RAL -cui spesso fa riferimento nelle sue opere- che vanno dal “violetto, al verdastro, toccando sfumature di oltremare e zaffiro, fino al nerastro e al grigio, per poi toccare onde di azzurro […], tutti possibili attributi del cielo, con una griglia sfumata che all’esterno ci parla di possibili divisioni degli interni del palazzo nascosti in facciata” (cit. Paolo Parisi).

Le stesse gradazioni di colore si rispecchiamo poi sotto al loggiato, generate questa volta da flussi luminosi che, giorno e notte, irradiano le tonalità dei blu (blues), reagendo alle sollecitazioni ricevute dalle piante poste sopra il loggiato, che trasmettono, grazie a dei sensori, le “sensazioni" legate ai cambiamenti atmosferici e di luce, che naturalmente ci sfuggirebbero, rendendoci insensibili alla loro vita. “Sensazioni” che vengono restituite in forma sonora (blues) e che rispecchiano Il respiro delle piante, quel respiro che produce il cielo sopra di noi. David Reimondo esplora la naturale capacità dell’essere umano di pensare e immaginare mondi che non esistono nella realtà e su questo impulso inventa teorie sulla lingua, “materia” principale del pensiero, che viene trasformata in linguaggio visivo attraverso diversi media. Il nuovo segno grafico realizzato, cui corrisponde un proprio suono vocale, rappresenta e raffigura il significato delle parole che l’uomo usa per comunicare. È l’ETIMOGRAFIA, il nuovo ruolo che l’artista attribuisce a quegli “esercizi di deaddestramento culturale” cui siamo invitati a partecipare. L’alfabeto dei nuovi segni allora invade e muta la pelle esterna del Centro Polivalente, un edificio in stile modernista disegnato dall’architetto Alberto Samonà negli anni ‘90, posto su via del Carmine.

L’intervento copre parte della facciata e dei muri frontali e poi prosegue: i segni si moltiplicano e protendono verso le facciate laterali dell’edificio, quasi come in un abbraccio che rivela una volontà di “rilettura” complessiva dell’insieme. Ma quei segni non sono soltanto un alfabeto: nascondono la dichiarazione poetica da cui muove le premesse il lavoro di Reimondo, che inizia enunciando “Il muscolo del pensiero è il cervello.” Da qui si innescano le infinite strutture linguistico-cognitive conosciute, fino alla costruzione di quelli che Reimondo definisce “[…] nuovi mondi”. Un progetto che innesca un’azione interattiva continua col pubblico anche grazie alla presenza di QR Code posti accanto al murales che lasceranno entrare il pubblico in quel nuovo linguaggio in modo diretto, scoprendo il messaggio nascosto. Anche Pantani-Surace realizzano un progetto di interazione attiva con il pubblico.

Un flipper installato negli spazi del Bar C’era una volta, sul viale Mazzini al numero 53, è collegato ad un dispositivo che trasforma il suono prodotto durante il gioco in impulsi elettrici che, a loro volta, danno vita all’accensione di linee luminose installate all’esterno. Le linee luminose colorate tagliano il paesaggio, si accendono e si spengono confondendo la linea dell’orizzonte. Ma il loro ritmo di accensione non è programmato: “L’andamento del gioco stabilirà la regia della luce. Tutto di pubblico dominio ma invisibile a chi, dall’altra parte (The other party), sta giocando. L’isolamento fisico ed emotivo di un giocatore, la sua inconsapevole interazione con la linea di luce che vibra nella intermittente accensione, come il battito delle ciglia di chi la incrocia, cuore pulsante di una città che la fa sua, in una frenetica emozione”. Così descrivono la loro installazione Lia Pantani e Giovanni Surace. Spostandoci a Legoli possiamo scoprire gli interventi degli altri cinque artisti che si sono concentrati nella Chiesa dei Santi Giusto e Bartolomeo. Passando per le vie del paese, saliamo attraverso un’erta via che porta alla piccola pieve costruita anticamente in cima al paese. Ci accoglie l’installazione sonora Sometimes di Emiliano Zelada realizza all’interno del campanile adiacente la Chiesa.

L’idea parte dal desiderio di ampliare l’esperienza della scansione del tempo, scandito con i rintocchi delle campane, attraverso un intervento sonoro di complemento che evita ai cittadini di dover contare ogni volta i rintocchi: al suono delle campane l’artista abbina la recita dell’orario “cantato” da un coro di bambini. In questo canto del tempo, alcune ore sono sostituite da figurazioni, quali: “buongiorno”, “la mezza”, “il pane”, parole che sopravvivono tra noi e marcano momenti della giornata, una condivisione di un quotidiano vivo. Francesca Banchelli interviene invece sulla facciata esterna della chiesa rivolta al sole, realizzando una meridiana, l’antico strumento di misurazione del tempo basato sul rilevamento della posizione del sole, attraverso l’ombra proiettata da uno gnomone. Abbiamo qui una riflessione sul concetto di tempo perché quello indicato dal sole è il tempo vero, esatto di quel luogo. La meridiana segnala con il suo gnomone solo lo zenit, incrociando solo per una volta il nostro sistema orario -a mezzogiorno- momento in cui, appunto, l’ombra dello gnomone incontra una zona metallica specchiante posta al centro della parete. Per il resto del tempo l’ombra fluttua nello spazio, senza poter definire un’orario preciso. È L’ombra del cielo, un’opera che narra del tempo. Ma ci sono altri due importanti riferimenti che l’artista ci consegna: la zona metallica specchiante che segna il mezzogiorno è disegnata nella forma “a mandorla” di un’amigdala, che rappresenta la prima forma di sostentamento per l’uomo; questo riferimento implica il concetto del tempo come momento assoluto, ricollegandoci a tempi remotissimi, ma pur sempre presenti in noi come esperienza ancora viva.

Il secondo riferimento è rintracciabile nella rappresentazione cosmologica che si trova nel campo in cui si svolge il giro dell’ombra. Il disegno si ispira alle immagini scientifiche della formazione dell’universo, che avrebbe come vertice il big bang e che, in questo caso, è sostituito dallo gnomone metallico. Ci troviamo proiettati in una dimensione del tempo cosmico, di genesi dell’universo cui partecipano le figure di Profetesse di cui si narra nella Genesi. All’interno della Chiesa, due interventi: nello spazio allungato della navata della chiesa, in dialogo con i richiami spirituali e simbolici della Luce, quella che filtra dai rosoni e dalle porte, ma anche quella divina, la Crepa in oro di Andrea Francolino si manifesta, lasciando spazio a quella dimensione dell’oltre che contiene pienezza e vuoto al contempo.

Una dimensione che si apre oltre lo spazio e il tempo, ma anche una traccia, di una di un’azione sulla materia, la memoria visibile di una storia, di un accaduto. E poi l’oro che evidenzia il gesto, lo cristallizza in un momento eterno. Presente, passato e futuro, ma anche qui e oltre si condensano in quell’unico gesto che diventa testimone immortale di un’apparizione. Come un’icona che nella sua essenzialità è testimone di dimensioni vastissime. “La crepa -come dice l’artista- manifestazione oggettiva di un processo in divenire, nella sua centralità, suggerisce e a volte rivela un legame tra gli opposti generando infinite riflessioni”. Lo spazio della visione si moltiplica oltre l’orizzonte percepibile per dare corpo ad una dimensione alchemica che vede sulla stessa linea percettibile, punti altrimenti distantissimi. Nel transetto, dove si aprono le due cappelle laterali, Giulia Cenci porta tre opere di ultima produzione che installa calandole dalle volte arcuate delle cappelle, come lampadari antichi, per lasciarle osservare a tutto tondo, sospese nel vuoto.

Un’apparizione arcaica e fantastica al contempo. Le “creature” di Giulia Cenci nascono da resti biologici e naturali -quali scheletri di specie primordiali- e da rovine di macchinari industriali e agricoli, da corpi meccanici, che vengono uniti, assemblati insieme, come unico corpo, dando vita a ibride creature, possibili forse in quei mondi sopravvissuti dopo l’apocalisse, dove primordi e tecnologia convivono sull’orizzonte di altri mondi paralleli. Le tre opere Lento-violento (ring), Pissing figures e Processo scorsoio (museruola) materializzano immaginari della nostra epoca e archetipi senza tempo, in un va e vieni tra realtà e fantasia che suscita meraviglia assieme a una certa inquietudine. Proseguendo, giungiamo nella Sala del Refettorio. Il tema centrale attorno cui si sviluppa il progetto di Chiara Bettazzi è l’acqua, la cui simbologia è richiamata dal fonte battesimale, presente in tutte le chiese e i battisteri. Ma impossibile non rievocare anche simboli più antichi, mitologici, come quello della sorgente dell’immortalità e dell’eterna gioventù. Sulla spinta di queste riflessioni l’artista realizza La Fonte della Giovinezza, un’installazione molto articolata costituita da una serie di oggetti domestici, quali piatti, scodelle, bicchieri, e di vecchi cimeli, resti e rovine architettoniche, colonne e busti che si aggregano, si combinano e concentrano attorno a fontane, tinozze e antiche vasche da bagno, tutti uniti dall’elemento acqua. Tende e drappi lucenti e cangianti incorniciano gli altari che ospitano l’acqua, fonte prodigiosa. Una pala all’altare raffigura le verdi figlie di madre natura. Un vecchio confessionale divenuto lui stesso altare. E poi piante terrestri e acquatiche e filari di luci, come quelle usate per le feste di paese.

Fonte: Comune di Peccioli



Tutte le notizie di Peccioli

<< Indietro

torna a inizio pagina