
Il PD toscano, uscito 'non-sconfitto' dalle urne del 26 maggio si prepara a respingere l'attacco del centrodestra al governo regionale nel 2020. I risultati delle ultime elezioni si prestano a interpretazioni diverse, ma è plausibile che dietro ai canti di vittoria del day after si nasconda un grosso sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Eppure nella 'roccaforte rossa' ormai sotto assedio, il clima non è certo quello di un serrate le linee. Da molte parti si invoca l'unità contro una destra diventata temibile, ma le acque sono a dir poco agitate e la possibilità di una scelta unitaria del candidato alle regionali 2020 diventa un vero e proprio miraggio.
Enrico Rossi, governatore uscente, è tornato come il figliol prodigo nella casa del Partito Democratico facendo appello all'unità della sinistra e facendosi testimone di un progetto unitario che si apra al civismo e vada oltre gli 'angusti' confini del Partito Democratico. Ma questa proposta, al momento, sembra più una suggestione che una possibilità concreta. A tenere banco, invece, è il dibattito interno al Partito Democratico.
La Toscana ripropone in provetta le dinamiche del PD nazionale: nella regione rossa i 'renziani' sono molto forti e rappresentano di fatto tutto il vertice del partito. Ma c'è chi, anche in Toscana, invoca un cambio di passo. I renziani da parte loro non sembrano voler stravolgere niente, così la ricerca di un candidato si trasforma una partita a scacchi. Una dialettica interna che non è solo questione formale, ma vera e propria crisi di identità del partito, conteso tra un'ala che da sinistra tira per la giacchetta il partito, e l'altra, granitica, che rivendica le sue posizioni.
Il tempo per trovare un candidato c'è, e al momento il partito sembra non andare di fretta: Simona Bonafè con il suo tour 'Toscana 2030' cerca di spostare l'attenzione sull'importanza del programma e spiega che "come segreteria regionale ho individuato un percorso che è quello che passa dalle proposte. Il problema non è il nome, ma cosa vogliamo proporre ai cittadini perché è da li che un partito serio inizia a lavorare". Possibile che si tratti di un modo per prendere tempo in attesa di lavare i panni in famiglia, ma potrebbe essere anche una strategia per vincolare il candidato ad un programma predefinito, una sorta di 'contratto di governo per la Toscana' in grado di risolvere dall'alto lo scontro in atto nel partito. Il punto è che al momento dalla segreteria c'è molta prudenza: le bocche sono sigillate e Bonafè pare stia cercando di mediare un accordo sulla base di un programma.
Ma se la segreteria dispensa prudenza, la corsa alla candidatura a governatore è già partita: quali sono i nomi sul tavolo? In un primo momento si stava rafforzando proprio il nome della Bonafè. La figura della segretaria, in effetti, era molto spendibile a livello elettorale: da meno di un anno alla segreteria conquistata con oltre il 60% dei voti, poteva mettere sulla bilancia anche una valanga di preferenze il 26 maggio e la riconferma a Bruxelles, oltre al risultato positivo del PD a Firenze, Prato e Livorno. La smentita, però, è arrivata dalla stessa Bonafè che in un'intervista radio ha dichiarato di non voler intraprendere quella strada.
Ma il vero nome che si è prepotentemente preso il palcoscenico del 'governatorato' è quello di Eugenio Giani. L'attuale presidente del consiglio regionale ha praticamente lanciato una (auto)candidatura con un evento pubblico chiamato "273 volte Toscana" (come i comuni della regione), svoltosi al Puccini di Firenze. Alla serata erano presenti oltre cento tra sindaci, assessori e consiglieri comunali, una ulteriore prova di forza che testimonia il gradimento verso il presidente del consiglio regionale. Giani ha anche lanciato attraverso Repubblica 50 punti programmatici, e a 'Capalbio Libri' si è rivolto direttamente ai vertici del partito mettendoli di fronte al fatto compiuto: "Mi piacerebbe che il PD mi candidasse alla presidenza della Regione Toscana”, ha detto senza mezzi termini. Come presidente del consiglio regionale Giani è sicuramente una figura apprezzata, ha tessuto un ampio ventaglio di rapporti sul territorio e in molti credono possa essere la persona giusta per fermare la destra. Uomo di grande cultura, è forse una figura più rappresentativa-istituzionale che di governo: raramente infatti è stato messo di fronte ai problemi e alle scelte difficili; si tratta però pur sempre di una figura autorevole ed apprezzata. Perché allora il Pd non supporta unitariamente la sua candidatura? La 'benedizione' di Luca Lotti e Matteo Renzi per il presidente del consiglio regionale non aiuta di certo: Giani è l'uomo autorevole dei renziani e non troverà la strada spianata verso la candidatura. E lui stesso nelle sue ultime uscite non ha rigettato il suo ruolo di alfiere renziano nel partito: così nonostante il politically correct verso Zingaretti, "ha il merito di aver avviato un processo inclusivo", non risparmia lodi dell'ex premier Renzi: "è la risorsa che non ha Zingaretti".
Ma anche tra i renziani (o ex renziani) ci sono malumori. Lo dimostra la posizione della potente assessora alla sanità Stefania Saccardi. Proprio Renzi ha chiesto pubblicamente un passo indietro a Saccardi per lasciare libero il passo a Giani, ricevendo un secco no come risposta. Saccardi è sempre stata la candidata in pectore del PD, ma la vicenda della sua casa, forse, ha pesato su una sua possibile candidatura. L'assessore rivendica senza mezzi termini di "avere il titolo per correre", poi nasconde questa forte presa di posizione dietro l'unità del partito denunciando l'autocandidatura di Giani: questo il contenuto di un'intervista su Repubblica dove Saccardi ha dichiarato che "abbiamo bisogno di un profilo in grado di unire", aprendo anche all'ala minoritaria per formare un fronte compatto contro la destra.
Anche Vincenzo Ceccarelli, con alle spalle un assessorato pesante come quello alle infrastrutture, potrebbe essere della gara, ma al momento dispensa prudenza e per ora sembra stare dietro le quinte. In una recente intervista su Repubblica fa appello all'unità spiegando che "c'è ancora tempo per un percorso unitario" e probabilmente si rivolge proprio a Giani dicendo che "non devono essere i personalismi a prevalere"; poi chiosa sulla sua candidatura senza smentire questa ipotesi: "se sarò io lo vedremo". Ceccarelli, che sembra piacere al governatore uscente Rossi, potrebbe rappresentare un profilo più neutrale, non schierato in maniera netta per una delle due parti.
In questo scenario al momento non ci sono nomi 'estranei' all'universo renziano, né figure appoggiate dall'ala di Zingaretti. Sembra che qui la ricerca sia ancora in corso. Un nome papabile potrebbe essere quello di Federico Gelli, ma sembra che nell'ala a sinistra del Pd quel nome non faccia entusiasmare molto. Un altro nome sarebbe quello del sindaco Emiliano Fossi, ma, essendo una figura di rottura, per far accettare il suo nome l'ala a sinistra di Renzi dovrà sudare sette camicie. Stesso discorso vale per la consigliera regionale Alessandra Nardini, in prima fila con Fossi per sostenere Zingaretti, ma al momento niente fa pensare ad una sua possibile candidatura. Altri profili pesanti che potrebbero essere accettati da quest'area potrebbero essere gli assessori Cristina Grieco, Federica Fratoni, Marco Remaschi, figure più istituzionali, meno 'radicali' e che potrebbero fare da mediazione tra 'vecchio' e 'nuovo', ma al momento i loro nomi non sono stati tirati in ballo e non sembra essere stata presa in considerazione una loro candidatura. Non è escluso, infine, che si possa cercare una figura esterna al partito, magari proveniente dal mondo civile. Al momento però l'ala 'minoritaria' del PD si limita a mostrare i muscoli e a dire no ai diktat renziani. Vedremo se prima o poi uscirà un nome.
Al momento quella delle primarie sembra la soluzione più plausibile, ma in questo clima di spaccatura per così dire 'ideologica' quel passaggio potrebbe essere un campo minato, aspetto che la stessa Bonafè non finge di non vedere: "Le primarie sono state nel partito un momento di dinamismo e di fermento, ricordo i 4 milioni di voti per Prodi, poi sono anche state la conseguenza di momenti di divisioni pagate poi con il voto. Non c'è una formula, ma c'è l'intelligenza di saper governare questo processo".
È ancora troppo presto per sapere come andrà, ma sembra che il Partito Democratico si stia preparando ad una doppia prova del fuoco: prima del voto delle regionali, infatti, potrebbero esserci le primarie.
Giovanni Mennillo
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