Intervento dell'Arcivescovo di Firenze all'Assemblea del clero alla Certosa di Firenze

Intervento alla Certosa dall'Arcivescovo di Firenze, card. Giuseppe Betori in occasione dell'Assemblea del clero che si è aperta ieri, 7 settembre, e terminerà domani.

L'Assemblea è incentrata in modo particolare sulla nuova edizione italiana del Messale Romano.

Dato il momento condizionato dalla pandemia, con cui dovremo continuare a convivere, l'Arcivescovo ha fatto una serie di considerazioni sullo spirito con cui affrontare questi tempi, indicazioni valide sia per la vita civile che per quella pastorale.

Riprendono nelle parrocchie il catechismo e le celebrazioni dei sacramenti, seguendo le normative generali dettate dallo Stato, rimangono ancora sospesi invece eventi che prevedono un numero elevato di persone.

"Principio fondamentale dell'azione pastorale resta sempre il bene delle persone" ha detto il card. Betori ai sacerdoti esortandoli, specialmente in questo momento, a vivere il ministero con "generosità e prudenza", preoccupandosi di uomini e donne "che privati dei loro riferimenti abituali, potrebbero anche andare totalmente alla deriva, se non saranno aiutati a riportarsi alle radici ultime dell'umano che vengono a riemergere a causa del ritorno sociale della morte e della riscoperta della necessità della cura dell'altro".

Infine il passaggio dedicato alla terza edizione italiana del Messale Romano (con le nuove formule per il Padre Nostro e il Gloria),​ che potrebbe essere utilizzato fin da quando sarà disponibile nelle librerie. Per cominciare con una data comune in diocesi, l'Arcivescovo ha indicato la prima domenica di Avvento, il 29 novembre.

Intervento dell'Arcivescovo di Firenze all'Assemblea del clero alla Certosa di Firenze

L’intervento che propongo quest’anno alla nostra assemblea annuale si differenzia dal modo con cui abitualmente mi sono rivolto a voi negli anni passati, in cui partivo da un’analisi della situazione sociale ed ecclesiale per giungere a indicazioni che potevano configurare vere e proprie linee per un programma pastorale per l’anno che si apriva.

Quest’anno infatti è difficile pensare di programmare qualcosa a fronte della precarietà che la perdurante presenza della pandemia provoca nella vita sociale e conseguentemente ecclesiale. Per questa ragione ritengo utile, più che delineare cose da fare, offrire alcune considerazioni dello spirito con cui affrontare questi tempi, un discorso pertanto che vale come un’esortazione.

D’altronde questo è stato il modo con cui ho cercato di accompagnarvi nelle settimane più dure dell’emergenza sanitaria, con una serie di lettere (in tutto diciotto), di cui mi permetto di consigliare una rilettura.

L’ho fatto personalmente e ritengo utile riassumere ora alcune indicazioni di carattere spirituale, culturale e pastorale che valgono anche oltre il momento in cui furono formulate:

– l’esperienza della fragilità come invito a riconoscere la vita come dono e a metterci al servizio dei fratelli più deboli;

– la riscoperta della mutua appartenenza della famiglia umana da vivere non come una condanna alla dipendenza reciproca ma una sollecitazione alla condivisione solidale;

– assumere un atteggiamento di responsabilità, rifuggendo tanto lo sconforto quanto la superficialità;

– il nostro convinto contributo al bene comune nella condivisione dei comportamenti che favoriscono la serenità della vita sociale;

– l’esperienza di rapporti umani meno legati alle molte cose da fare e più sobri ma non meno intensi;

– essere promotori di comunione nella Chiesa e nella società evitando scelte individuali;

– la coscienza che l’azione della grazia passa attraverso la nostra azione pastorale ma non ne dipende;

– l’attenzione ai frutti non meno che al rito nella vita liturgica;

– l’importanza della vita interiore nutrita di preghiera, parola di Dio e meditazione;

– attenzione e responsabilità per coniugare insieme tutela delle persone ed espressioni di vita comunitaria, tutto nello spirito di servizio alla gente;

– la convinta certezza che le ragioni della fede non saranno mai contrarie alla ricerca delle ragione umana.

Ho anche offerto a suo tempo indicazioni per il futuro, quello che si apre ora. Affermavo «Il futuro non potrà essere una ripetizione del passato.[…] Ma il futuro non potrà mai vedere liturgie familiari sostituire quelle comunitarie, il sacerdozio dei fedeli supplire quello ministeriale, un pane segno di condivisione prendere il posto del Corpo e Sangue di Cristo. Lo stesso valga per la dimensione formativa, dove i nuovi scenari aperti dalla comunicazione virtuale potranno accompagnare ma non subentrare al posto della condivisione comunitaria. E così via. Questo è il futuro che ci attende, in cui l’Eucaristia dovrà restare “fonte e culmine di tutta la vita cristiana» (Lumen gentium, 11)”» (6 maggio 2020). E di fronte alle possibilità di azione pastorale che via via si aprono è emersa la necessità di attente valutazioni per comporre insieme una generosa dedizione con la salvaguardia dell’unità della comunità e la cura dei più fragili.

Facendo tesoro di queste indicazioni che hanno accompagnato il nostro cammino da marzo a giugno, ritengo che sia giunto il momento di riprendere la vita pastorale delle nostre comunità con rinnovata convinzione e con attenta valutazione del passaggio che sta vivendo la nostra società. Un passaggio non ben definito, in cui l’uscita dai tragici giorni segnati da morti dolorose non significa la progressiva scomparsa della pandemia, bensì il suo apparire in forme nuove, non meno diffuse e in ogni caso capaci ancora di mettere in crisi la necessaria ripresa economica

e sociale, quella educativa anzitutto. Se qualche mese fa potevamo sperare di uscire dalla pandemia, ora tutto lascia intravvedere che con essa dovremo continuare a convivere. Dovremo farlo però in modo tale da non ostacolare il recupero delle essenziali forme della vita sociale e il rilancio della vita economica. Questo richiede mantenere alta l’attenzione alle precauzioni e al tempo stesso di guardare con coraggio e inventiva al futuro.

Sono considerazioni che valgono anche per la vita pastorale. Occorre riprenderla con convinzione, senza però avventurarci in modalità che potrebbero mettere in pericolo i fedeli e quindi farci ripiombare indietro verso limitazioni che non vorremmo più sperimentare. Ci è chiesto equilibrio, spirito di comunione, responsabilità. Quella che abbiamo esercitato finora, come ci viene riconosciuto da più parti.

Le indicazioni che avete ricevuto per la ripresa del catechismo dei fanciulli e dei ragazzi, come pure delle celebrazioni dei sacramenti dell’iniziazione cristiana ne sono un concreto modello. Tutto viene proposto all’interno delle normative generali che sono dettate dalle autorità dello Stato alla vita della società, trasferendo quanto previsto per le varie attività della vita civile alle situazioni specifiche della vita ecclesiale.

Si tratta di indicazioni generali, perché le concrete condizioni delle nostre parrocchie non permettono di offrire specificazioni ulteriori. Altro è agire nel contesto di una grande parrocchia, altro è invece operare in una piccola parrocchia; una parrocchia di città non può essere omologata a quella di un paese; la dotazione di strutture, per numero e ampiezza, incide significativamente sulle scelte possibili. In definitiva, ciascuno dovrà assumersi la responsabilità di valutare che cosa poter fare e come, decisioni che il vescovo e i suoi collaboratori sono pronti ad accompagnare con opportuni pareri e a sostenere di fronte ai fedeli.

Ma occorre riprendere, in qualche modo, facendo anche tesoro di quanto abbiamo sperimentato nei mesi acuti dell’emergenza, componendo cioè insieme attività in presenza e modalità di comunicazione a distanza, sempre con l’obiettivo di non lasciare nessuno ai margini, valorizzando in particolare le famiglie nella catechesi dei figli.

La ripresa ormai indilazionabile della catechesi dei piccoli va estesa anche alle attività formative per adolescenti, giovani e adulti. Lo stesso vale

per le diverse forme di vita liturgica e di pietà. Il criterio che deve guidarci è sempre quello di agire con numeri limitati di persone, nell’osservanza delle precauzioni igieniche a tutti note, facendo particolare attenzione alle condizioni deboli.

Quel che vale per la formazione è orientamento anche per le altre funzioni della vita comunitaria, dalle attività di partecipazione dei consigli pastorali e delle aggregazioni fino alle azioni caritative, la cui presenza è stata di particolare significato nell’emergenza e deve continuare ad esserlo ora e nel futuro dei mesi invernali. E quel che vale per il popolo vale anche per noi, con la doverosa seppure prudente ripresa degli incontri vicariali del clero così come faremo a livello diocesano con il consiglio presbiterale.

Ci dovremo ancora privare di quegli eventi che prevedevano presenze numericamente rilevanti. Così, ad esempio, non sarà possibile nei prossimi giorni celebrare insieme a livello diocesano l’inizio dell’anno pastorale, ma affideremo a ciascun parroco un segno da consegnare ai collaboratori pastorali che condivideranno con lui l’animazione della vita comunitaria.

Torno a indicare ancora criteri con cui vivere il nostro ministero, riprendendo indicazioni che ho già segnalato nella lettera di giugno in cui ho comunicato le nomine di questo anno.

Principio fondamentale dell’azione pastorale resta sempre il bene delle persone che ci sono affidate, quello che un tempo si definiva il “bonum animarum”. Altrettanto importante è muoverci in comunione, evitando fughe in avanti e ma anche «senza sottrarci al dovere di offrire alla nostra gente ciò a cui ha diritto in termini di vita sacramentale, di formazione della fede, di esperienza comunitaria» (18 giugno 2020). In sintesi: generosità e prudenza. E questo cercando di collocare la nostra azione pastorale nel quadro di quanto si muove a livello culturale e sociale. La crisi fa intendere che «dovremo fare i conti con uomini e donne che, privati dei loro riferimenti comportamentali abituali, potrebbero anche andare totalmente alla deriva, se non saranno aiutati a riportarsi alle radici ultime dell’umano, che vengono a riemergere a causa del ritorno sociale della morte e della riscoperta della necessità della cura dell’altro. A ben riflettere tutto questo cambia totalmente l’orizzonte dell’annuncio della fede, fino a ieri chiamato a confrontarsi con la hybris dell’uomo che

pensava di non aver bisogno di Dio e degli altri; la nostra parola e testimonianza ora dovrà invece assumere il volto mite della misericordia verso l’umanità ferita» (18 giugno 2020).

Tutto questo si inserisce per noi nella continuità del Cammino sinodale, che siamo chiamati a riprendere, proprio in quella fase dell’ascolto del contesto culturale che assume particolare rilevanza in questa svolta della vita pastorale. Vi chiedo di non dimenticare questo nostro impegno, così da poter giungere a un momento di sintesi con cui arricchire la coscienza della nostra Chiesa.

Infine, tutto il nostro impegno pastorale riceve uno specifico orientamento dall’introduzione della terza edizione italiana del Messale Romano, il tema su cui ci siamo soffermati in questi giorni. Il Messale, come guida della Celebrazione eucaristica non è un qualsiasi mezzo pastorale che ci viene offerto, ma la strada con cui la Chiesa ci indica il modo con cui compiere l’atto supremo della nostra vita di credenti, il memoriale della Pasqua di Cristo, da cui scaturisce e in cui culmina l’esistenza cristiana. La centralità ecclesiale del Messale motiva anche l’invito che vi faccio a cominciarne insieme l’utilizzo. Sappiamo che l’obbligatorietà è segnata dalla Pasqua 2021, la possibilità è offerta fin da quando il libro sarà disponibile nelle librerie; invito però tutti a cominciare insieme, come segno di comunione; il quando potrebbe essere la prima domenica di Avvento il 29 novembre prossimo, ma per ufficializzare questa data attendo ancora un confronto con gli altri vescovi della Toscana. Vi farò sapere quanto prima. Intanto prepariamoci e prepariamo la nostra gente, valorizzando i sussidi della CEI e della Diocesi e impegnandoci a una breve catechesi sulla Celebrazione eucaristica durante le Messe domenicali dei mesi di ottobre e novembre, seguendo le indicazioni che verranno dal nostro Ufficio Liturgico.

È un momento importante per tutta la Chiesa italiana ed occorre quindi prepararci ad accogliere questo dono prezioso che è il libro liturgico che guida e accompagna le nostre celebrazioni dove cambiano alcune formule con cui viene celebrata l’Eucaristia nella nostra lingua.

La profonda revisione a cui è stata sottoposta la seconda edizione del Messale, prima nel suo originale testo latino e poi nella traduzione italiana, non si riduce a una semplice revisione estetica, ma costituisce l’esito

dell’impegno della Chiesa a comunicare oggi al meglio i contenuti della fede e, per quanto concerne la traduzione italiana, a collocarli nel contesto dei modi con cui si esprime oggi la nostra lingua. Come potete capire, le novità vanno ben al di là delle rinnovate formulazioni di un’espressione del Gloria e di due passi del Padre Nostro. Segnalo in particolare diverse riformulazioni delle Preghiere eucaristiche e delle Collette. Ma si tratta di riaccostarci all’intero Messale con il cuore e la mente che lo riconoscano come un testo che vuole parlarci in modo nuovo di Dio e a Dio.

Il passaggio alla nuova edizione del Messale dovrà quindi essere un’occasione per formare le nostre assemblee a una comprensione più profonda della liturgia che celebrano e per invitare noi stessi a presiederle con fede consapevole, con fedele adesione ai testi e ai gesti proposti, con corrispondenza tra ciò che celebriamo e come viviamo.

Fonte: Diocesi di Firenze - Ufficio Stampa

Notizie correlate



Tutte le notizie di Firenze

<< Indietro

ISCRIVITI alla newsletter quotidiana di gonews.it

Ogni giorno alle 19 le notizie più importanti

torna a inizio pagina